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L'ossessione di Saviano per il governo

Davide Vecchi
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Saviano ci prova ma proprio non riesce ad ascendere al ruolo di intellettuale. Alla logica in lui prevale l’acredine personale. Così, invece di analizzare i fatti, si lascia andare a semplificazioni, commenti da bar. Ieri, in occasione della scomparsa di Messina Denaro, ha confermato la tesi di quanti ritengono la sua immagine da maître à penser costruita sul nulla. Ha scritto: «Il boss è morto, l’Italia continua a essere un paese a vocazione mafiosa». Una frase aberrante. Ha insultato l’intera popolazione, mostrando fra l’altro una notevole propensione alla resa e assoluta indifferenza. Parole in libertà, totalmente prive persino del più basico dei ragionamenti.

 

Già in occasione della cattura di Messina Denaro a gennaio, dopo 30 anni di latitanza, invece di gioire del risultato Saviano se l’è presa con il governo: «Questo è uno degli esecutivi meno antimafiosi che ilPaese abbia avuto». Le forze dell’ordine? Gli uomini dell’Arma? I magistrati che per decenni hanno smantellato la rete di protezione attorno al boss? Niente. Ancora: “La predilezione (della mafia) per la destra è testimoniata da una infinità di atti e documenti”. Quali? Non si sa. Appare evidente quanto a Saviano poco importi la lotta alla criminalità o gli arresti di padrini, ma piuttosto screditare e attaccare questo governo. Del resto ha più volte insultato Matteo Salvini – arrivando a definirlo lo scorso luglio «il ministro della malavita» – e accusato Giorgia Meloni (oltre a darle della bastarda) di essere corresponsabile della morte di un bambino in mare. Per questo è a processo per diffamazione con l’aggravante di attribuzione di un atto determinato. Perché non basta dirsi o sentirsi intellettuale per esserlo. Serve capacità di ascolto, analisi, profonda a volte anche dolorosa obiettività. Lo diceva Leonardo Sciascia e lo era Leonardo Sciascia. Un gran rompiscatole, che ha raccontato con profondo coraggio e onestà la mafia quando in Italia veniva negata l’esistenza stessa della mafia. È inciampato sui professionisti dell’antimafia – con un articolo del 1987 sul Corriere nel quale criticò anche la nomina di Paolo Borsellino – per poi ricredersi e rivedere profondamente il suo giudizio. Capita. Chi non vuol vendere nulla né farsi asta per alcuna bandiera sa correggersi.

 

Merita ricordarlo però il passaggio in cui bolla i magistrati antimafia siciliani come «eroi della sesta». Ricordarlo a quelli che «hanno corta memoria o/e lunga malafede e che appartengono prevalentemente a quella specie (molto diffusa in Italia) di persone dedite all’eroismo che non costa nulla e che i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono "eroi della sesta"». Matteo Messina Denaro è morto. L’ultimo boss. Catturato dalle forze di questo Stato, l’Italia. Che è tutto fuorché a vocazione mafiosa. Se ne faccia una ragione, Saviano. Ma continui pure a propagandare i suoi libri e i suoi film in giro per il mondo raccontando il Paese che più gli fa comodo.

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