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Gianluigi Paragone: i migranti? Se non si controllano le partenze è game over

Gianluigi Paragone

È campagna elettorale anche per la Von Der Leyen, quindi si degnerà di toccare con mano la situazione di Lampedusa. Cambierà ben poco, anche perché appunto - ormai siamo ai primi tocchi della campagna elettorale e sul tema dell’immigrazione i due blocchi se la giocheranno a viso aperto. La leva su cui bisogna agire è la solita: scoraggiare le partenze. Lo ha detto la stessa Meloni: se venite in Italia clandestinamente vi renderemo la vita difficile. Il sottinteso è: vi conviene rischiare così tanto per poi restare chiusi in un centro? Insomma, si spera nell’effetto deterrenza - com’è giusto che sia- di una procedura più rigorosa. Le minacce però rischiano di non arrivare se la nomea dell’Italia è che «tanto poi si entra facilmente». Va riconosciuto che Salvini è stato l’unico ministro finito sotto processo per aver risposto al braccio di ferro delle Ong. Bastò quel fatto per provocare un alert tra i mercanti di esseri umani. Lo fece, non ci credevano. Ed è normale che rivendichi quell’azione in questi giorni complicatissimi. La premier, con il suo video, ha rilanciato e se lo abbia fatto per competizione interna con Salvini o per altro, poco importa: se non si controllano le partenze in maniera ferma, con azioni energiche, per l’Italia prima e per l’Europa poi è game over. I flussi diventano inarrestabili.

 

A questo punto la domanda di fondo è: ma l’Europa vuole fermare questo processo o si limita a gestirne il traffico? Perché l’impressione è che l’Europa non sia in grado di andare oltre i soliti trattati scritti malissimo e oltre la categoria morale del «Non possiamo girarci dall’altra parte». Ora, se questa dev’essere la stella polare dell’Europa, allora ne va compilata la regola fondamentale perché altrimenti si entra nell’arbitrio. Tutti sanno che per far contentala Germania (troppo stressata da migranti provenienti per lo più dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iraq), l’Europa stanziò tanti tanti soldi al sultano turco Erdogan al fine di controllare la rotta balcanica. Qualche mal di pancia si registrò ma alla fine il bicarbonato della «ragion di Stato» accarezzò gli stomachi più delicati.

 

Ora, la questione morale si pone su quegli altri Paesi, su tutti Tunisia ed Egitto, base di partenza per le rotte che interessano per lo più l’Italia, fronte più esposto nel Mediterraneo. Ed è qui che dobbiamo giocare a viso aperto: se dall’Africa continuano a scappare migliaia di uomini e di donne, l’Europa ha l’obbligo di interrogarsi se qualche causa non dipenda da lei stessa. Fintanto che alla Francia non si chiede conto del suo ruolo «padronale» nelle terre preziose delle sue ex colonie, dell’impiego dell’esercito a protezione dei suoi interessi nazionali (con conseguente sfruttamento delle popolazioni), e fintanto che alle multinazionali con sede fiscale in Olanda e in Lussemburgo, in Irlanda o a Malta, non si chiede di rispettare quel che è dell’Africa lasciando al popolo la possibilità di crescere, allora è inutile dover dibattere sull’ultimo miglio del problema.