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Meloni, la sinistra getta fango sulla famiglia come arma per sviare l'attenzione

Cicisbeo
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I romani definivano «argumentum ad hominem» il metodo di gettare fango sui rivali e sulle loro famiglie: un’arma di distrazione di massa per sviare l’attenzione dalle questioni politiche più spinose del momento ricorrendo a spesso subdole infamie. Una triste tradizione, questa, che ha superato secoli e millenni, ripresa in grande stile anche dall’Italia repubblicana: basti pensare alla fine politica di Attilio Piccioni perché il figlio Piero, musicista di talento, fu invischiato, galera compresa, nel cosiddetto caso Montesi, che campeggiò a lungo sui rotocalchi scandalistici degli anni’50. E anche in seguito questa oliata macchina del discredito «ad personam» non si è mai fermata, incastrando nel tritacarne mediatico un cospicuo numero di personaggi, anche al netto degli innumerevoli sputtanamenti giudiziari della infinita stagione di Tangentopoli. Ebbene, la sinistra degli atelier politico-culturali e dei giornaloni, da quando una leader di destra ha osato - sia pure per consenso popolare - mettere piedi a Palazzo Chigi, sta mettendo in atto un vero e proprio assalto «ad personam», appunto, al suo ristretto «inner circle», coinvolgendo persino il padre dai trascorsi non proprio cristallini, pur sapendo che aveva lasciato Giorgia quando era ancora in tenera età, senza che i rapporti venissero più riallacciati. Anche la mamma, autrice di romanzetti rosa e per questo evidentemente sbeffeggiabile, non è stata risparmiata, non dimenticando la casa data alle fiamme ai tempi dell’infanzia della premier, un ghiotto «cold case» per dare la stura a chissà quali congetture.

 

 

E poi non potevano certo mancare le vignette ignobili contro la sorella, contro il cognato ministro e addirittura contro la figlia Ginevra. In ultimo, ma solo per il momento s’intende, la stessa sorte è toccata al compagno giornalista, oggetto della gogna politicamente corretta per aver suggerito alle ragazze (come ha osato?) di non ubriacarsi in discoteca, come se avesse voluto dire che se vi stuprano è colpa vostra. Incredibile ma vero. La famiglia della premier, insomma, è palesemente vittima di una tecnica d’attacco sofisticata quanto crassa, che ricorda da vicino i metodi usati dalla vecchia Unità contro gli avversari di ogni colore (i compagni sono sempre stati sprezzanti con gli altri quanto gelidamente inflessibili se gli strali ironici venivano indirizzati a loro).

 

 

Ora, per completare questo quadretto, il Venerdì di Repubblica, nella rubrica «Indizi neurovisivi» intitolata «Il bel Giambruno», ha varcato un altro confine del dileggio, soffermandosi cioè sulla fisiognomica, e lo ha fatto con un certo perfido stile, perché la sottolineatura delle fattezze aggraziate e della folta chioma di Giambruno è stata solo il pretesto per dare conto delle nefandezze partorite dai social nei confronti dell’interessato: pupazzetto, tronista, biondastro con bibita in mano, con porcellino d’India in testa, o raffigurato sulle locandine di Giamburrasca e di Balla coi lupi. «Come sempre in Italia – è il succo del bieco discorso – anche la bellezza va a parare sulla parodia dell’insignificanza». L’ironia, per carità, è il sale della democrazia, ma c’è da chiedersi cosa avrebbe scritto il «Venerdì» se Andrea Giambruno fosse stato, oltre che compagno di Giorgia Meloni, anche brutto, e magari col naso irregolare.

 

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