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Mattarella e il segnale di discontinuità al governo: coabitazione più ruvida

Cicisbeo
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Che bello il mondo disegnato da Mattarella al meeting dell’amicizia di Rimini! Basta odio come misura dei rapporti umani, basta distinzioni di etnie, basta attacchi ai diversi, basta contrapposizioni ideologiche, basta anacronistici nazionalismi, servono invece concordia sociale e coesione, e le identità plurali sono il valore della nostra patria, del nostro popolo straordinario, frutto dell'incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni; di apporto di diversi idiomi per la nostra splendida lingua. E via elegiando. Un quadretto che mi ha richiamato un vecchio spot del Mulino bianco, dove tutto era perfetto e ordinato, col cielo sereno come sfondo di un paesaggio bucolico. Un mondo ideale, insomma, volutamente contrapposto a quello al contrario descritto nel libraccio best-seller del generale Vannacci, convitato di pietra di buona parte del discorso presidenziale.

 

Ma è proprio vero che le identità plurali sono sempre un valore, o è vero invece che l’immigrazione musulmana ha creato ghetti identitari in troppe città europee (vedi le banlieues parigine) con l’agognata integrazione ridotta a un lontano miraggio? Nessun italiano di buonsenso vuole lo scontro col vicino, ma il peso delle ideologie resta un macigno che impedisce perfino di celebrare in modo unitario il 25 aprile. È una triste realtà. Certo, stare al Quirinale significa anche lanciare moniti ed esercitare moral suasion, ma non è certo una predica sull’Amicizia-con tutto il rispetto per il meeting - o sull’odio come preludio per la condanna dell’umanità a poter scuotere le coscienze, se non si scende dal mondo delle belle idee alla cruda realtà che in queste ore, ad esempio, vede l’hot spot di Lampedusa stracolmo per l’arrivo di altri quattromila migranti.

Dall’inizio dell’anno siamo già a 110 mila presenze, e cosa mai cambierà, nella sostanza, il sermone riminese secondo cui «i fenomeni migratori sono movimenti globali che non vengono cancellati da muri o barriere», seguito dal monito al governo di prevedere ingressi regolari «in numero adeguatamente ampio»? Una formula vaga che è stata subito strumentalizzata dal Pd schleiniano, quello dell’accoglienza senza limiti in contraddizione con i suoi stessi sindaci, anche se non è mancato da parte del presidente il richiamo a «un impegno, finalmente concreto e costante, dell'Unione europea» e al «sostegno ai Paesi di origine dei flussi migratori», in linea col piano Mattei presentato dalla premier. Mattarella, diciamolo chiaro, era stato molto più convincente quando a Varsavia pronunciò parole molto decise contro l’inerzia dell’Europa, smentendo implicitamente l’esistenza di contrasti fra Quirinale e governo. Allora il presidente non usò mezzi termini, dicendo che l’emergenza migratoria è un problema dell'Unione, e non solo italiano, e avvertendo che nessuno Stato può affrontare da solo un problema così epocale, sollecitando quindi «una nuova politica di migrazione e di asilo dentro l'Ue, con il superamento di vecchie regole appartenenti ormai alla preistoria». Forse sarò malizioso, ma l’impressione è che Mattarella da Rimini abbia deciso di inviare un preciso segnale di discontinuità al governo alla vigilia della ripresa autunnale, e che ci si possa quindi aspettare nei prossimi mesi una coabitazione molto più ruvida rispetto al primo scorcio di legislatura.

 

In questo senso, la citazione di Dossetti sulla Costituzione intangibile non poteva essere più chiara: «È proprio nei momenti di confusione, o di transizione indistinta, che le Costituzioni adempiono la più vera loro funzione: cioè, quella di essere, per tutti, punto di riferimento e di chiarimento... presidio sicuro contro ogni inganno e contro ogni asservimento». Un messaggio fatto interamente proprio dal Colle che contiene, mi pare, un invito inequivocabile a riporre nel cassetto ogni proposito di toccare la forma di governo, si tratti di presidenzialismo o di premierato nella versione che tocca le prerogative del Quirinale. Altra spiegazione non c’è, visto che mai nessuno ha parlato di cambiare i principi fondanti della Carta.

Siamo alle solite, dunque: eppure la Costituzione italiana, nella parte che riguarda l'organizzazione istituzionale, è ormai di ostacolo alla governabilità e di impedimento all'unità nazionale. Per non parlare della forma di Stato: dopo la famosa revisione del Titolo V del 2001 l’Italia è stata di fatto ripartita in “venti repubbliche senza un maestro sovraordinato che non fanno un'orchestra” (copyright Marcello Pera), come si vede ogni giorno. La conferenza Stato-regioni è una Camera non prevista dalla Costituzione ma conta più dell'intero Parlamento. Sull’anacronismo del bicameralismo perfetto, che frena iter legislativo e azione del governo, si sono scritti inutilmente fiumi di trattati. Che senso hanno dunque gli alti moniti a non toccare la Costituzione? Al Quirinale siede un presidente delle Repubblica o un Gattopardo che vigila perché nulla cambi? Siccome non ritengo sia così, non è interesse di nessuno che il capo dello Stato si presti a strumentalizzazioni di parte, sull’immigrazione come sulle riforme.

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