Forza Italia, serve un ritorno al futuro. Anche per preparare il terreno a Pier Silvio Berlusconi
Il Tempo il due agosto scorso ha pubblicato la rilevazione Winpoll secondo cui il 68 per cento degli elettori di Forza Italia vorrebbe come leader Pier Silvio Berlusconi, che gode di un apprezzamento alto e trasversale ed è quindi, nell’immaginario collettivo, l’ideale erede politico del padre. Starà ovviamente a lui decidere, e lo farà a tempo debito con l’equilibrio e la ponderatezza che gli sono riconosciuti. Il sondaggio in questione conferma in sostanza ciò che è già stranoto, ossia che il brand Forza Italia resta strettamente legato al brand Berlusconi. Anche se la leadership di Silvio è di fatto insostituibile, e non basta un Pier davanti per colmare il divario. Dunque se Forza Italia ripartirà da Pier Silvio non sarà un errore, ma sarebbe uno sbaglio colossale accantonare l’eredità di Silvio. Per questo prima di tutto, dall’autunno fino alle europee, sarebbe giusto e opportuno organizzare una serie di convegni, di seminari o come caspita si vogliono chiamare per riaffermare l’attualità della lezione di un genio che, pur fra mille contraddizioni, ha cambiato il corso della storia d’Italia. Non per tuffarsi in un passato nostalgico ma, magari coinvolgendo anche i tanti ex che hanno dato il loro contributo alla vita del partito, per rilanciare l’azione liberale e riformatrice di una grande forza popolare che non ha fatto la rivoluzione liberale, ma che l’ha imposta come contaminazione positiva della politica italiana. La storia di Forza Italia è la storia della grande battaglia tra le ragioni del cambiamento e quelle della conservazione, tra la necessità di modernizzare l’Italia nelle sue strutture politiche, istituzionali ed economiche e le mille resistenze corporative. Ci sono delle verità che vanno ribadite e rivendicate: la storia della Prima Repubblica comportava la delega ai partiti delle scelte di governo, e Forza Italia è stata protagonista di una riforma che ha portato al sistema politico bipolare, fondato sul principio comune a tutte le democrazie europee per cui il popolo sceglie non soltanto il Parlamento ma anche e soprattutto il governo. Forza Italia, insomma, ha riformato la politica italiana rendendo il popolo realmente sovrano, dandogli cioè la capacità di scegliere con il voto i governi.
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Poi la crisi dei partiti ha rimesso indietro l’orologio della storia, con la politica commissariata dal Quirinale e con una parte della magistratura assurta a contropotere politico. Del resto, Berlusconi entrò in politica per sparigliare le vecchie oligarchie, e ci entrò con un’investitura popolare fortissima, ma una volta entrato nella stanza dei bottoni capì subito che i bottoni erano fuori da Palazzo Chigi. Diceva: il governo fa, il Parlamento distrugge. E il presidente del consiglio non ha alcun potere. Ma l’altra faccia della medaglia è che il fenomeno della sua leadership carismatica ha rappresentato un elemento di forte democratizzazione della vita politica, nel senso che solo lui ha avuto la capacità di produrre quel di più di consenso necessario per contrastare una sinistra dai larghi tratti tuttora illiberali. Liquidare tutto questo come un mero incidente della politica e della storia, come qualcuno sta facendo, è dunque profondamente riduttivo: la rinascita liberale non può che partire ancora da Forza Italia, che ha il dovere di rilanciare i suoi valori fondanti, aggiornando un grande manifesto liberale che rappresenti il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Perché è tutt’altro che finita la grande battaglia tra le ragioni del cambiamento e quelle della conservazione. I partiti novecenteschi si fondavano sulle idee-forza-le ideologie- e un’organizzazione forte e radicata sul territorio. Tempi irripetibili, ma per rifondare un vero partito occorre selezionare la classe dirigente a vari livelli: la classe dirigente deve essere composta da un ceto politico e dirigenziale operativo in Parlamento, nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni; un ceto intellettuale e organizzativo attivo anche sui territori con una vasta rete di legami e con una rappresentatività in sede decisionale. È l’abc della politica, ma vale la pena ricordarlo in questi tempi fluidi.
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Forza Italia deve, in questo senso, recuperare il linguaggio e gli strumenti adeguati per rimobilitare le sue potenzialità di consenso. E riuscirà a farlo se riprenderà ad essere il partito-movimento nato dalla società civile e insediato nella realtà politica italiana come aggregazione di valori che consentano di porre un argine alla narrazione populista. Deve essere insomma conservatrice nei fini e rivoluzionaria nei fatti, nella capacità di adeguare le nuove politiche economiche e sociali al cambiamento della realtà. Oggi viviamo le incertezze di un futuro privo di sicurezze, e questo provoca nei cittadini stati d’animo e comportamenti difficili da indirizzare verso un approdo condiviso. Un partito autenticamente liberale deve attrezzarsi, culturalmente e politicamente, a governare il cambiamento, indicando le priorità economiche e di tenuta sociale, rivitalizzando i suoi valori fondanti: il merito, il rispetto, il lavoro, lo sforzo che ognuno fa per conquistare un posto nella società, la coesione sociale. Parlare insomma al cuore della gente per risvegliare energie ed entusiasmi. Forza Italia, dopo la scomparsa del suo leader, non è e non deve sentirsi un popolo di reduci, deve semplicemente attrezzarsi per un ritorno al futuro. Anche per preparare il terreno a Pier Silvio, se deciderà di scendere in campo.
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