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Pd in picchiata: cacicchi e dintorni, per Schlein ecco un autunno caldo

Riccardo Mazzoni
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«Elly Schlein è innamorata delle piazze e del metaverso, ma allergica alle litanie di partito, e i compagni che l’hanno voluta sono terrorizzati dall’idea che li faccia fuori tutti. Se guardiamo chi sono le donne del suo Pd non è che la segretaria ne esca proprio bene: la moglie di Franceschini e la pupilla di Orlando, se fa selezione così altro che cacicchi... E poi ha impiegato più tempo lei per strutturare il partito che Giorgia per fare il governo». Questo è il ritratto della nuova leader del Pd tratteggiato da Bisignani e Madron ne «I potenti al tempo di Giorgia». Questo non toglie che Schlein abbia avviato il suo mandato con un piglio decisionista pari alla disinvoltura con cui ha incassato le sconfitte elettorali, una dietro l’altra, senza anche solo mezza autocritica e senza ascoltare le timorose critiche dell’ala riformista. All’inizio, almeno, i sondaggi la confortavano, fotografando un balzo del partito di 3-4 punti, ma ora anche quelli si stanno allineando ai dati reali: l’effetto Schlein insomma se c’è stato è già finito. Lei però insiste nel ribadire che nella cabina di comando ci sta e intende rimanerci («mettetevi comodi»), dimenticando il peccato originale di essere stata scelta dalla sinistra dei gazebo e non dal partito-apparato, dal partito-struttura dei circoli e degli iscritti, che le preferirono Bonaccini.

 

 

Di errori marchiani la segretaria ne ha già commessi parecchi, primo fra tutti la presenza alla piazza grillina dove l’Elevato fece la sparata delle Brigate col passamontagna. E neanche l’estate militante, annunciata nell’ultima direzione per dare una scossa al partito, forse per l’arrivo di Caronte che ha soffocato luglio in una morsa di calore, sembra essere mai davvero decollata, e alla fine si limiterà alla scontata routine delle feste dell’Unità in cui peraltro l’appena risorto quotidiano non pare essere neppure gradito. Se doveva essere un’operazione mediatica per il rilancio e il rinnovamento del Pd, insomma, è fallita in partenza, anche perché impostata su parole d’ordine che odorano d’antico come le pastasciutte delle feste di partito. Comunque sia, la frenetica mobilitazione estiva dovrà forzatamente interrompersi per l’incontro istituzionale a Palazzo Chigi sul salario minimo, al quale Schlein ha già annunciato però di volersi presentare con l’elmetto per «parlare di tutto», ossia per rispondere al garbato invito della premier con l’intenzione di rompere la cristalleria. D’altronde ormai le è impossibile recedere dalla postura di sinistra combattente che non ammette per principio ideologico la pari dignità delle destre.

 

 

Ma i problemi veri arriveranno dall’autunno in poi, e saranno tutti interni al partito in vista delle elezioni europee. Il clima è infatti più infuocato dei dieci giorni di caldo africano appena annunciati. Furoreggia ancora sul web l’intemerata del governatore De Luca che definisce «atto di delinquenza politica» il commissariamento del Pd in Campania e punta il dito contro Camusso e Misiani, mandati a sequestrare il partito perché il risultato delle primarie non gli andava bene. Questa è solo l’avvisaglia della tempesta in arrivo, complice l’ostinazione della segretaria a non aprire al terzo mandato, per cui una pletora di sindaci e governatori eccellenti stanno per bussare alla porta del Nazareno per una candidatura nel 2024. Ma le alternative che si presentano rischiano di trasformarsi tutte in una partita alla meno per una leadership già ballerina: avendo ipotizzato la segretaria di presentarsi come capolista in tutte le circoscrizioni, avere in lista personaggi così ingombranti, oltre che campioni di preferenze, la relegherebbe quasi certamente al secondo posto nella classifica degli eletti, con un colpo devastante all’armocromia della sua immagine da. Ma rimangiarsi il no al terzo mandato sarebbe ugualmente un segnale di debolezza, e anche la terza via (no ai cacicchi in lista e no alle ricandidature in Regione, per dimostrare chi comanda davvero) sarebbe piena di insidie: si tratterebbe certo di una soluzione radicale e gradita al nuovo gruppo dirigente, ma con la probabile controindicazione di un doppio flop sia alle europee che alle regionali del 2025. Servirebbe una strategia dunque, ma al momento siamo fermi ai tortellini e al ballo liscio dell’estate militante.

 

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