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Forza Italia, le insidie del dopo Berlusconi: la fiamma rischia di spegnersi

Cicisbeo
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L’11 giugno del 1984 il segretario del Pci Enrico Berlinguer morì per un malore dopo un comizio alla vigilia delle elezioni europee e la tragica scomparsa di un grande e indubbio protagonista della politica italiana suscitò una profonda commozione nel Paese, tale da incidere sul voto che si tenne la domenica successiva: il partito comunista infatti raggiunse il suo miglior risultato elettorale di sempre superando per la prima e unica volta anche la Democrazia Cristiana: 33,3% contro 32,9, un sorpasso ottenuto grazie agli 11.714.428 voti espressi dagli italiani. Ma alle amministrative del 1985 il Pci scese al 28,5%, e alle successive politiche al 26,5% con 10.250.644 voti. Che c’entra, vi chiederete, questo ritorno ad eventi di quasi quarant’anni fa, ben noti a chi ha un po’ di memoria storica? C’entra non per fare un tuffo nel passato, ma per ricordare che l’effetto emozionale della morte di un leader carismatico – Berlinguer non voleva esserlo ma così veniva percepito dal suo popolo – dura nell’immaginario collettivo lo spazio di qualche mese, soprattutto in questi tempi liquidi in cui la politica divora nello spazio di un mattino anche i leader vivi. È una lezione, questa, che dovrebbero tenere ben presente ai piani alti di Forza Italia, che ha una storia profondamente diversa da quella del Pci, ma che si trova anch’essa a fare i conti con la morte, il 12 giugno scorso, di un leader carismatico come Silvio Berlusconi che del partito è stato il fondatore, l’anima, tutto.

 

 

Questa volta le elezioni europee saranno tra un anno, e allora Berlusconi sarà ancora vivo nella mente e nel cuore dei fedelissimi, ma senza la sua formidabile capacità di attrazione del consenso il rischio di una dispersione dell’elettorato verso altri lidi è un’ipotesi non peregrina. Il Cavaliere è insostituibile, come lo era Berlinguer, ma il Pci disponeva di un fortissimo apparato ideologico e organizzativo che gli permise di restare a galla fino alla caduta del Muro di Berlino, mentre Forza Italia ha sempre vissuto della luce riflessa del suo leader, e la traversata nel deserto sarà dunque molto più dura. La lezione di Berlusconi resta preziosa, ma è necessario avviare subito la transizione da un partito monarchico illuminato a partito normale, dove normale significa scalabile, contendibile, perché sarebbe vano e illusorio trascinare dall’«ancièn regime» i privilegi del notabilato vissuto alla corte del re. Serve dunque lungimiranza di visione politica, oltre al coraggio di rimettersi in gioco e di aprire il partito con una stagione costituente, o di rifondazione, che consenta di catalizzare forse, corpi sociali e movimenti che vagano al centro della politica alla ricerca di un riferimento. Per questo fare il congresso a febbraio non ha senso, almeno che la volontà non sia solo quella di un arroccamento della classe dirigente per consolidare le posizioni conseguite o, peggio, per riproporre le vecchie faide interne. Insomma, tanto per essere chiari: se le modalità resteranno le stesse della lunga era berlusconiana, quelle di un conclave senza Provvidenza per incoronare il nuovo pontefice, la fiamma di Forza Italia rischierà di spegnersi per sempre.

 

 

Invece di Forza Italia c’è ancora bisogno, perché una componente di centro rafforzata serve anche alla premier, e il consiglio non richiesto che do è di far tesoro della lezione originaria di Berlusconi, che seppe raccogliere le anime perse del pentapartito per dare loro una casa politica. Quella fu un’operazione che cambiò il corso della storia, ed è impossibile ripeterla, se non in scala ridotta, ma sarebbe saggio almeno tentare di ricomporre le diaspore di chi continua a far politica solo per sopravvivenza, come i partitini di Lupi, Toti o Brugnaro, gli esodati in Fratelli d'Italia come Rotondi e anche di chi – Carfagna e Gelmini - ha trovato un rifugio molto precario nel terzo polo terremotato da Calenda. E non metterei confini politici, andrei anche oltre... Nessuno può chiedere a chi ha oggi il timone del partito di lasciare posto a un papa straniero, ma per garantire un futuro a Forza Italia non basta aver sostituito la maglia di presidente con quella di segretario. Non basta proprio, caro Antonio Tajani.

 

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