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Marina Berlusconi dà la sveglia al governo sulla giustizia

Riccardo Mazzoni
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La lettera di Marina Berlusconi al Giornale per difendere la memoria del padre dall’ultimo assalto giudiziario che ha l’unico, ossessivo obiettivo di infangarla, è un doveroso passo per ristabilire la verità storica di fronte a teoremi intrisi solo di fango. Ma suona anche come un preciso monito ai leader del centrodestra perché portino in fondo la riforma della giustizia, sulla quale invece sembrano già gravare le stesse ombre di sempre, con qualche frenatore di troppo rispetto alla volontà del ministro Nordio di realizzare il programma di governo. Quello, per inciso, che a settembre fu concordato con Berlusconi come elemento politico fondante di questa legislatura. Le domande poste nella lettera sono le stesse che si fanno tanti italiani: «Ma la guerra dei trent’anni non doveva finire con Silvio Berlusconi? Dopo di lui, il tema giustizia non doveva tornare nei binari della normalità?». Invece «la Procura di Firenze ha ripreso imperterrita la caccia a Berlusconi, con l’accusa più delirante, quella di mafiosità. Mentre nel Paese il conflitto tra magistratura e politica è più vivo e violento che mai», ha scritto Marina, ricordando agli smemorati la lunga persecuzione di cui suo padre è stato vittima, e che resta l’emblema delle patologie e delle aberrazioni da cui la nostra giustizia è afflitta, con un segmento della magistratura divenuto ormai una casta intoccabile che si nutre di teoremi per infangare gli avversari, con gli avvisi di garanzia trasformati in tante gogne mediatiche. Una deriva che nessuno è mai riuscito a fermare, neppure dopo gli aberranti altarini scoperchiati da Palamara sul sistematico uso politico della giustizia, che il Pd, anzi, continua a negare asserendo che in Italia non esistono perseguitati, e neppure dunque le procure politicizzate.

 

 

Eppure la storia politica di Berlusconi coincide drammaticamente con le sue vicende giudiziarie, a partire dall’avviso di garanzia fasullo che fece crollare il suo primo governo: tra il novembre ‘94 e il giugno 2008 il Cavaliere fu via via assolto da tutti i reati: lodo Mondadori, falso in bilancio, acquisto del calciatore Lentini, per citarne solo alcuni. E anche, più volte, dall’accusa infamante – su cui la procura fiorentina continua a indagare - di avere ispirato politicamente la mafia autrice degli attentati del ’93. Insomma, di tutto di più in un crescendo di testimonianze inattendibili e protagonismi giudiziari con la sponda interessata di larghi settori dell’informazione. Questo perché? Inutile girarci intorno: perché Berlusconi impedì la presa del potere da parte della sinistra, che nel ‘94 era pronta a raccogliere i frutti di Tangentopoli, pur non avendo la coscienza (neppure quella giudiziaria) a posto. Dal 2008 al 2011, poi, gli attacchi aumentarono in modo esponenziale, e l'assedio politico-mediatico-giudiziario al premier divenne totale, coinvolgendo la sua vita politica, quella privata- famiglia compresa-e lo stesso impero economico. A Berlusconi sono state spesso rinfacciate le cosiddette leggi ad personam, ma non fu forse giustizia ad personam quella del processo Mills, durante il quale un pm arrivò a spostare i termini della prescrizione dell'inesistente reato di corruzione dal momento in cui il denaro sarebbe stato consegnato a quello in cui sarebbe stato speso, con uno stravolgimento totale delle più elementari regole del diritto? E come non ricordare l'incredibile frontiera dell’ingiustizia italiana varcata dalla Procura di Napoli, che aprì un'inchiesta «a tutela» di Berlusconi per metterlo in realtà nel frullatore mediatico e pubblicare, in modo palesemente illegale, intercettazioni private e senza alcuna rilevanza penale. Per non parlare dell’unica condanna definitiva, quella per la frode fiscale, attraverso una sentenza emessa nel 2013 dalla sezione feriale della Cassazione su cui gravano molte fondatissime ombre.

 

 

Una guerra dei trent’anni - quella richiamata ieri da Marina Berlusconi – che non ha mai conosciuto tregua, in un clima da caccia all’uomo alimentato dalla sinistra politica, giornalistica e giudiziaria, col sistematico tentativo di delegittimare il fondatore del centrodestra in nome della difesa della democrazia: una narrazione sapientemente alimentata da una schiera di professori politicizzati, agit-prop pagati coi soldi pubblici che predicavano a senso unico contro il Cavaliere nero. «C’è un odio che si taglia a fette» – scrisse il grande Pansa. Un odio che portò il tribunale di Milano a chiedere perfino una perizia psichiatrica per Berlusconi. Basta tutto questo per dire che la riforma della giustizia ora va fatta senza più esitazioni? Non è forse questo l’accorato appello di Marina Berlusconi?

 

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