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La politica rivendichi la propria autonomia

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Davide Vecchi
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Escludo che a Palazzo Chigi qualcuno ritenga davvero l’indagine sul passato da imprenditore del ministro Daniela Santanché e il rinvio a giudizio coatto del sottosegretario Andrea Delmastro come attacco della magistratura al Governo. Perché se queste sono le armi delle procure per spingere l’esecutivo a desistere sulla riforma della giustizia, a Chigi possono dormire tranquilli. A mio avviso sono piccole difficoltà del percorso alle quali però mi auguro questo Governo dia il giusto peso. Da una parte mostrandosi fermo nel rivendicare – finalmente – l’autonomia della politica rispetto agli altri poteri democratici per cui se un qualsiasi componente dell’esecutivo è indagato nulla cambia; dall’altra proseguendo nel percorso di riforme avviato senza cedere di un millimetro. Perché questo è il momento ed è evidente a tutti quanto fondamentale e necessario sia mettere mano al sistema giudiziario italiano.

La scomparsa di Silvio Berlusconi deve segnare la fine del potere di condizionamento della magistratura sullo Stato. Un potere acquisito nel tempo, un potere scalato a cominciare dal 1992 quando con l’inizio di Tangentopoli un semplice avviso di garanzia diventava una condanna; a volte una condanna a morte: il suicidio di Sergio Moroni. Era il 2 settembre 1992. Il pool di Mani Pulite partorì l’ascesa politica di Antonio Di Pietro che sfruttò quel giustizialismo diffuso tanto da creare un partito e conquistare voti. Intanto nei tribunali molte super indagini delle procure si rivelavano vuote e inefficaci, molti politici e imprenditori massacrati tra intercettazioni, sequestri preventivi, arresti uscivano completamente assolti da anni di macelleria giudiziaria. Ma le assoluzioni non diventavano mai notizia anche perché le procure continuavano a macinare indagini su personaggi eccellenti, uno su tutti: Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è stato sul palcoscenico giuridico per così tanto tempo e talmente illuminato da distogliere l’attenzione sul circostante. Sulla scia di questo giustizialismo si è alimentato il Movimento 5 Stelle e il populismo che ha portato a conseguenze devastanti per il funzionamento stesso dello Stato fino al taglio dei parlamentari e al tetto agli stipendi dei dipendenti pubblici.

Riforme becere approvate persino da partiti come il Pd che hanno sacrificato la propria storia di valori e ideali per un passaggio su uno strapuntino al seguito del carro di un comico. Il risultato è oggi un Parlamento impossibilitato a lavorare a pieno regime (le commissioni sono per forza di cose quasi sempre deserte) e incapace di poter offrire ai tecnici migliori su piazza stipendi dignitosi da rendere il lavoro per lo Stato allettante rispetto a quello offerto da aziende private. A parte qualche raro caso di abnegazione per il servizio al Paese stiamo riempendo il pubblico di figure mediocri, non certo i migliori di cui invece dovremo dotarci e potremo dotarci. Tutto questo è ormai evidente e criticato anche dagli stessi che lo hanno ideato, voluto, realizzato. Questa maggioranza ha finalmente la forza e le capacità di tentare di correggere queste storture. Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia hanno dimostrato di saper trovare una sintesi su tutto ed è necessario ora trovarla sulla riforma della giustizia. La politica oggi deve e può ritrovare la propria autonomia rivendicandola con fermezza. Ciascuno faccia il proprio lavoro. Quello della politica e dei Governi è migliorare la vita dei propri cittadini anche semplificando le leggi e la giustizia. Ché magari diventi davvero uguale per tutti. 

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