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Oriana Fallaci tra le tracce della maturità 2023: tributo doveroso

Riccardo Mazzoni
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La riscoperta di Oriana Fallaci sui banchi della maturità, con la traccia del testo artistico-letterario incentrata su un brano dell’«Intervista con la storia», è prima di tutto un atto di giustizia dopo che l’opera letteraria della grande scrittrice fiorentina era scomparsa dai radar a causa dell’isolamento a cui l’aveva confinata dopo la sua morte il gotha fasullo del politicamente corretto, nonostante i milioni di copie vendute in tutto il mondo.

 

Oriana è stata a tutti gli effetti la cronista per eccellenza della storia del secondo Novecento, anche se il suo lascito più prezioso – e ingombrante – resta la trilogia con cui ha difeso l’Occidente dall’offensiva del fondamentalismo islamico dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Tutti i suoi libri trasudano un anelito di libertà, in coerenza con una vita tutta spesa contro i tiranni fino da quando, adolescente, fece la staffetta partigiana sulle colline della sua Firenze. In una delle sue ultime interviste, rilasciata al Wall Street Journal, disse: «Non si può sopravvivere se non si conosce il passato. Noi sappiamo perché le altre civiltà sono scomparse: per eccesso di benessere e ricchezza e per mancanza di moralità e spiritualità... Nel momento stesso in cui rinunci ai tuoi principi e ai tuoi valori... in cui deridi questi principi e questi valori, tu sei morto, la tua cultura è morta e la tua civiltà è morta. Punto e a capo».

 

Il brano scelto per i ragazzi della maturità pone un dilemma epocale («La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?»), a cui la Fallaci alla fine dà una risposta sconsolata per la postura ribelle della sua anima: è illusorio pensare, con de Gregori, che la storia siamo noi, e anche il determinismo a suo modo è un abbaglio, perché avevano visto giusto Pascal sostenendo che se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della Terra sarebbe cambiata; e Bertrand Russell quando scriveva che il nostro destino è in mano all’arbitrio di pochi, con noi che diventiamo «greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame. Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento». Un’amara verità che ha segnato tragicamente il secolo breve, e che si ripropone ora che le sorti del mondo vacillano per le mire neoimperialiste dello zar del Cremlino. Rileggere la Fallaci è sempre un’immersione nella grande letteratura e nel grande giornalismo, per questo la scelta dell’«Intervista con la storia» è stata davvero azzeccata.

 

Oriana si sentiva - a ragione all'altezza di Kipling, di Dumas, di Malaparte, che fu il suo mito giovanile, e fece dell'intervista la cifra di un giornalismo vissuto come missione. Lo schema delle interviste paludate davanti ai potenti del mondo fu sconvolto dalla sua irruzione sulla scena, e fu un'autentica rivoluzione: dalla sua penna al vetriolo passarono allo stesso modo dittatori e statisti illuminati: Reza Pahlavi, Indira Gandhi, Golda Meir, Ali Bhutto, Willy Brandt, Gheddafi e «quel mascalzone di Arafat», a cui Oriana imputava di affamare il suo popolo.
Non fece mai sconti a nessuno, la Fallaci: basti pensare che l’ormai centenario Henry Kissinger, segretario di Stato di Nixon, ricorda ancora il faccia a faccia con Oriana come «l'incubo più grande della mia vita». Ma l'intervista più corrosiva resta quella all'ayatollah Khomeini, una pagina memorabile di giornalismo: «Che mi dice – gli chiese - di questo chador che mi ha messo addosso per venire da lei e che lei impone alle donne, costringendole a nascondersi come fagotti?...» La risposta fu sferzante: «Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non vi riguardano. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarle. Perché la veste islamica è per le donne giovani e perbene». E lei: «Molto gentile. E visto che mi dice così mi tolgo subito questo stupido cencio da Medioevo. Ecco fatto». Oriana, così, fu la prima e ultima donna a strapparsi il velo davanti alla guida suprema dell'Islam sciita. Un gesto che, con gli occhi di oggi, assume un enorme significato, e non solo simbolico. Ha ragione dunque il nipote, Edoardo Perazzi, quando afferma che questa bellissima traccia proposta agli studenti della maturità «riscatta la memoria di Oriana» dopo che per tanti anni è stata ignorata, vittima di una damnatio memoriae assurda, e «offre di lei una testimonianza altissima del suo impegno civile».

In effetti, la lezione di Oriana è stata oltraggiata a più voci, spesso derubricata a pronunciamento di una Cassandra che avrebbe smarrito il senso della storia, mentre il suo era, piuttosto, il crudo realismo di chi scruta un pericolo e doverosamente lo segnala. Un personaggio che va ben oltre gli schemi, le contingenze e le fazioni: lei è stata un’anarchica e urlava la sua verità con tutta la forza che aveva, e l’unica sua bandiera era la libertà. È bello dunque che ora anche ai ragazzi del Duemila sia stata offerta l’opportunità di conoscerla e di studiarla. Magari leggendo «Un Cappello pieno di ciliegie», il suo libro uscito postumo, compendio sublime di storia patria tessuto con la sapienza di chi ha vissuto e scritto in prima persona un pezzo di storia. 

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