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Berlusconi, sovrano inattaccabile e generoso: la sua luna non è mai tramontata

Denis Verdini
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È morto Silvio l’immortale, e non mi sembra vero, per cui mi è ostico come un boccone che ti resta in gola parlare di lui al passato. È un personaggio indefinibile, Berlusconi, gli hanno cucito addosso mille aggettivi tutti parziali e insufficienti a definirne la statura, e poi troppi servili encomi e altrettanti codardi oltraggi che lui ha sempre schivato con la postura gentile e beffarda di chi, nato come primattore, vive coi piedi piantati in una realtà di caratteristi  da dominare, blandire, spremere, premiare e all'occorrenza accantonare. La sua vicenda umana, imprenditoriale e politica è talmente densa di fatti, cose, innamoramenti e invenzioni da prefigurare una vita, lunga e ineguaglabile, vissuta in una sorta di universo parallelo, per cui giudicarlo col metro delle categorie comuni è un esercizio senza senso.

 

Era semplicemente, a suo modo, un genio, entrato nei libri di storia prima ancora di morire, come condottiero delle imprese impossibili. Lavorargli a fianco è stato un privilegio e un’avventura incredibile: credo mi abbia scelto per la rude franchezza di toscanaccio senza freni inibitori, che non gli ha mai nascosto le crude e crasse verità della politica, quel mondo alieno di cui si era perdutamente invaghito ma i cui riti bizantini lo annoiavano a morte, perché la sua intelligenza era sempre mille passi avanti, e si era illuso di poter cambiare l'Italia come l'urbanistica di Milano. Sognava di incarnare un secondo Rinascimento, e si trovò davanti un muro invalicabile di burocrati reazionari e di alleati infidi nei Palazzi di una Roma sempiterna e immutabile. Doveve essere una meteora politica, e invece ha fondato la seconda Repubblica rimanendo per trent’anni sul proscenio, a dispetto del potere costituito di un Quirinale mai amico, di una sinistra livida di rancore che lo ha sempre considerato un accidente della storia, e di un assedio giudiziario permanente. 

 

Non è certo mio compito farne il ritratto: ne usciranno a bizzeffe, nel bene e nel male. Ma è doveroso riconoscergli di aver cambiato, con la sua discesa in campo, il corso della storia d’Italia: «Era successo un miracolo - ha scritto ricordando la vittoria del 27 marzo ’94 - la sinistra era stata sconfitta e l'Italia non era diventata un Paese comunista. Guardiamo al futuro con la stessa passione di allora, consapevoli che la nostra storia è fatta di grandi sfide e di grandi successi». Una nota vergata di suo pugno che è diventata il suo epitaffio e un testamento-auspicio per la sopravvivenza di Forza Italia, la sua creatura politica comparsa sulla scena come un meteorite e legata al fondatore da un rapporto simbiotico, senza mai partorire un erede, perché attorno al carisma di Berlusconi non poteva crescere un altro leader: ne ha battezzati tanti, e li ha uccisi sempre in culla, in quanto tutti figli di un'ipotesi dell’irrealtà. 

Forza Italia è stata il regno di un sovrano inattaccabile ma generoso, un movimento diventato partito - sezioni, congressi, milioni di iscritti come il Pci! - e retto con l'antica sapienza del divide et impera da un capo senza rivali, sul modello leaderistico della democrazia. Una stagione irripetibile, e chi l'ha vissuta da dentro non può che sorridere delle leggende fiorite intorno al Re Sole: come quella - la più morbosa e frequente - secondo cui cerchi magici e influenze femminili avrebbero condizionato le scelte del leader, che invece ha deciso sempre e solo lui, con un’incredibile capacità di farsi concavo e convesso davanti alle difficoltà e alle nuove sfide. Ridurre la storia di Forza Italia a quella di un partito di plastica o di una fucina di gossip è stato quindi l'errore più grande della sinistra, che nel frattempo ha visto sparire un numero impressionante di segretari che Berlusconi si è semplicemente messo in tasca, da Occhetto in poi. 

 

E sono indiscutibili i meriti di questo personaggio ossimoro, insieme rivoluzionario e riformista, il proto-populista della battaglia contro i professionisti della politica che non ha mai però smarrito il senso delle istituzioni, per cui chi lo paragona a Trump non ha capito nulla della sua natura politica. Berlusconi non ha mai sparso odio nelle vene della democrazia, a differenza dei suoi avversari, è stato un modernizzatore che ha regalato all’Italia il bipolarismo, e ha sempre sentito sulla sua pelle come una sconfitta non essere riuscito ad ammaliare la sinistra con la sua arte affabulatoria. Forza Italia insomma sarà stata anche un’anomalia politica, un ircocervo che teneva insieme Publitalia e la cultura dei professori, ma fu anche un’intuizione che modificò i criteri di legittimità della politica italiana senza mai debordare nell’avventurismo. La Rivoluzione liberale era un obiettivo strategico, rimasto poco più che uno slogan, ma i quattro governi di Berlusconi hanno comunque avviato un’azione riformatrice, dalla legge Biagi all'Alta Velocità, fino ai successi in politica estera col fiore all'occhiello di Pratica di Mare. Meriti che una inveterata narrazione macchiettistica non riconosceranno mai. 

Il mio rapporto con Silvio non è mai finito, nonostante le disavventure giudiziarie (molti abbiamo pagato un prezzo per essergli stati accanto), quello politico neppure, nonostante il dissidio sulla fine del patto del Nazareno, a cui avevo lavorato con massacrante impegno per tenere le briglie a due cavalli di razza come lui e Renzi. Il Patto fu infranto per le reciproche diffidenze, ma che goduria vedere il mio leader - da poco cacciato dal Senato - entrare con tutti gli onori nel covo dei suoi detrattori, e che disdetta vedere poi saltare tutto all’aria. Lo confesso: per me la staffetta Berlusconi-Renzi aveva una sua logica per un ritorno alla civiltà dei rapporti politici dopo gli anni infausti dell’antiberlusconismo viscerale, il famigerato fattore C. (da Caimano) che ha bloccato la nostra democrazia con un'insulsa guerra a bassa intensità. Questo è il mio grande rimpianto, solo in parte alleviato dalla riabilitazione di Silvio e dal suo ritorno in Parlamento. Riabilitazione è un gran brutto termine, intriso di gelida burocrazia ideologica, e quella ferita resta comunque aperta, un’ingiustizia di Stato sancita da un voto parlamentare, contro la Costituzione e contro il diritto, con una legge illiberale applicata in modo retroattivo. Fu una bruttissima pagina e una ferita che resta sanguinante: a Berlusconi non è mai stato perdonato il peccato originale di aver rimesso in equilibrio l’asse della democrazia dopo Tangentopoli, e di aver impedito alla sinistra di prendere allora il potere. La sua cacciata dal Tempio fu la tempesta perfetta che doveva chiudere un’epoca, invece la luna di Berlusconi non è mai tramontata nonostante gli incidenti di percorso personali e le imboscate politiche, come la congiura che lo disarcionò nel 2011: sono riusciti a esiliarlo all’Elba, ma a Sant’Elena ci è andato da solo. Riposa in pace, Silvio.

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