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Meloni e Berlusconi, anche la leadership nel centrodestra è diventata un brand

Domenico Giordano
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Nei giorni scorsi Silvio Berlusconi ha pubblicato sulla propria pagina Facebook, dopo quello della scorsa settimana destinato alla convention nazionale di Forza Italia, un secondo video per spronare gli elettori azzurri a recarsi alle urne in questa tornata elettorale. «Sono ancora purtroppo al San Raffaele, ma per voi ho messo anche questa mattina giacca e camicia», Una precisazione, ovviamente non quella della residenza in clinica, ma dell’abbigliamento scelto per la registrazione che non è affatto marginale, come in molti potrebbero pensare. Del resto, già nel video precedente il Cavaliere ci aveva tenuto a sottolineare di aver indossato «per la prima volta dopo un mese, camicia e giacca».

Adesso, perché, quella duplice precisazione fatta in entrambi i casi volutamente nei primi secondi del video, riveste un significato fondamentale per la narrazione berlusconiana e per la specificità della sua leadership? A dispetto di altri leader che si sono avvicendati sulla scena politica negli ultimi trent’anni, Berlusconi è stato e rimane ancor’oggi innanzi tutto un brand, una marca meta-politica con caratteristiche proprie che gli ha permesso, a dispetto anche dei suoi numerosi avversarsi che hanno provato a contendergli lo scettro del consenso elettorale, di rigenerarsi nel tempo e di normalizzare gli effetti deleteri di scandali e inciampi che se fossero toccati ad altri li avrebbero già consegnati alla culla dell’oblio. Invece, il vero segreto della comunicazione berlusconiana è appunto questa sua intrinseca qualità di essere oramai percepito dal pubblico, che poi si declina all’occorrenza in cittadinanza ed elettorato, come una marca e non solo come un qualunque leader politico. E, come sappiamo, ogni brand deve consolidare nel lungo periodo alcune peculiarità costitutive che lo rendono ai nostri occhi costantemente unico, riconoscibile e (dis)apprezzabile.

Ecco perché il richiamo alla «camicia e alla giacca» non è tanto una concessione dovuta per trasmettere il messaggio di essere sulla strada della guarigione e pronto nuovamente a combattere, ma è principalmente una necessità scenografica per consentire ai fan, ai follower, ai consumatori occasionali o fidelizzati del brand di riconoscere e riconoscersi nella marca. Il valore del brand «Berlusconi» l’abbiamo misurato ancora una volta, anche nel corso dell’ultima campagna elettorale, dove, nonostante il Cavaliere fosse stato costretto a centellinare l’impegno e le partecipazioni dirette alle manifestazioni fisiche, è riuscito nell’impresa a portare in Parlamento una pattuglia di 22 deputati e 9 senatori, riuscendo incalzando il dato finale ottenuto dalla Lega. Un processo di brandizzazione della leadership, che è un fenomeno diverso dalla leaderizzazione politica, lo sta realizzando, anche in parte senza volerlo, Giorgia Meloni. E non è un caso, che questo mutamento prenda consistenza proprio mentre il valore della marca «Berlusconi» vive uno dei suoi momenti più difficili.

Infatti, l’archetipo narrativo di una «storia tipicamente italiana» ha funzionato alla perfezione in passato per il Cavaliere e oggi si modella altrettanto bene per Giorgia Meloni che è riuscita a diventare l’interprete «unico» e «riconoscibile» di un vissuto che appartiene pienamente all’immaginario popolare. È riuscita a farsi strada da sola e per prima in un mondo abitato e, soprattutto, governato per lo più da uomini, ha coltivato competenze, a cominciare da quelle linguistiche, che altri leader si sognano, si è dotata di una cassetta valoriale ben definita, sostituendo l’anti-comunismo berlusconiano ormai logoro, con un patriottismo identitario, quindi con un patrimonio culturale (dis)apprezzabile. Tutte unicità che si sono fuse, come avvenne d’altro canto nella prima fase della narrazione berlusconiana, con la dimensione famigliare e materna. Se questa mutazione, con tutti i suoi vantaggi e difetti, andrà consolidandosi lo vedremo nei prossimi mesi e anni, però, intanto è innegabile che sia già iniziata.

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