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Giusto dare 100 euro a chi permette alle grandi città di essere tali

Bruno Villois
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L’ottimismo che sprigionano le dichiarazioni del Governo sul nostro Pil, può subire una doccia gelata dai dati sull’inflazione, dal nuovo aumento del saggio di sconto operato dalla Bce e dal caro mutui i cui tassi variabili hanno ormai superato la soglia mediana del 5%. A risentire particolarmente del combinato disposto che deriva dall’insieme dei dati citati, sono le grandi città del nord capitanate da Milano alle quali si abbina Roma. In queste due ultime città il costo della vita nel suo complesso e in particolare per il carrello della spesa, gli oneri di locazione e/o dei prestiti bancari, è da sempre il più alto d’Italia. Vero che lo sono anche il livello degli stipendi e del reddito procapite per Milano, mentre per Roma, grazie all’indotto fornito dalla politica, e più in generale da tutto l’apparato pubblico nazionale, c’è la stabilità garantita dei posti di lavoro accompagnata in alcuni ambiti, come il parlamento, da sostanziosi stipendi. Ma un aumento medio intorno alla doppia cifra del costo della vita, sta diventando insostenibile per una larghissima fascia di famiglie romane e milanesi. L’effetto che ne deriva comincia a manifestarsi con ripercussioni sui consumi e ormai riguarda ogni genere di prodotto o servizio.

 

 

Un capitolo a parte è rappresentato dal turismo, i cui consumi continuano ad avere il segno «+» davanti, con una percentuale che si avvicina al 10% (anno su anno) e supera quella di periodo del boom avvenuto nel 2019. Un iniziale calo dei depositi bancari e un sempre maggior ricorso a richieste di aumento dei limiti mensili di carte di credito e affini è ormai evidente, sintomo di un tentativo si spostare in avanti le scadenze sperando in un inversione di tendenza dell’inflazione, in modo da ripristinare un equilibrio tra reddito introitato e spese da pagare. I quartieri centrali di Roma e Milano reggono l’impatto inflazione senza batter ciglio, ma così non è a cominciare dal secondo centro, nel quale risiede essenzialmente quello che fu il ceto medio, figurarsi per la città metropolitana nella quale vivono oltre i 3/4 dei residenti e il reddito procapite è nella media bassa sia di Milano che di Roma: mentre il costo della vita e le locazioni immobiliari restano le più alte dei pari livello di ogni altra metropoli nostrana. Ed è proprio dal secondo centro e dalla città metropolitana che giornalmente arriva la grandissima maggioranza di chi consente per entrambe le città di essere delle capitali d’Europa.

 

 

Oltre 600 mila le auto che vi entrano e ben di più sono i pendolari che utilizzano il treno. Ottimo che il Governo abbia trovato una formula per introitare, fino a fine anno, nelle tasche proprio di quei 3/4 di cittadini romani e milanesi prima citati, circa 100 euro mese. Il dilemma riguarda quale possa essere l’inflazione a fine anno, se fosse ancora superiore al 5% servirebbe un ulteriore intervento. Temporaneamente sarebbe utile azzerare il prezzo dei biglietti treno per i pendolari delle aree metropolitane e circostanti, intensificare il numero di treni, congelare i costi dei servizi comunali, rateizzandoli nei successivi 48 mesi, con tasso di interesse del 2% da concordare con il sistema creditizio in modo che, nell’applicarlo, non si tenga conto del merito creditizio che per molti cittadini e imprese e molto fiaccato. Riuscire a realizzare l’insieme di queste opzioni darebbe una boccata d’ossigeno importante, seppur difficile da sostenere per Regione e Comune, che abbinata agli importi concessi dal Governo creerebbe le condizioni per favorire una ripresa economica sostenibile appena l’inflazione tornerà nella posizione del 2%.

 

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