Il governo Meloni faccia cadere le preclusioni sul nucleare
Con il conflitto ucraino e la necessità di accelerare l’indipendenza dal gas russo, in Europa il dibattito intorno all’autonomia energetica è tornato un tema fortemente in agenda. Ad oggi però il modello proposto dalla Ue è marcato dall’impronta ideologica dell’ecologismo, che sta chiedendo all’Europa di accelerare sulla decarbonizzazione con la forzatura sulle auto elettriche al 2035, che sta imponendo ai cittadini di ristrutturare il proprio patrimonio immobiliare, e che vuole perseguire al contempo un’accesa campagna per sostenere le tassazioni generalizzate per abbattere i consumi energetici. Sono tutte misure, al pari della revisione del Patto di Stabilità con il mancato scorporo degli investimenti produttivi dal conteggio del debito e il parametro dello 0,5% di rientro, che colpiscono indiscriminatamente i ceti meno abbienti e le imprese, ultime in ordine di tempo quelle che producono le caldaie. Nella bozza del documento che sarà discusso oggi dalla Ue, infatti, si prevede dal 1 gennaio 2029 l’introduzione della nuova etichetta energetica che pone una soglia minima di efficienza al 115% per le caldaie domestiche, valore che può essere raggiunto solo dalle pompe di calore sia elettriche che ibride. Eppure nel 2022 la principale fonte di generazione elettrica nel mondo è stato il carbone, con il 35,7%, a cui ha fatto seguito il gas naturale, 22,2%, l’idroelettrico con il 15,1%, il nucleare, 9,2%, mentre il solare e l’eolico insieme hanno raggiunto il 12%.
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I numeri del Rapporto sulle fonti di produzione elettrica confermano che non si può prescindere dalla costruzione di un mix energetico chiaro, perché affidarsi quasi esclusivamente alle rinnovabili, fonti che per loro natura sono intermittenti e poco programmabili, non garantisce l’elettricità in modo continuativo. Il Rapporto è stato analizzato dalla rivista RiEnergia, che ha dedicato al contributo del nucleare all’approvvigionamento energetico il suo approfondimento settimanale. Far cadere la pregiudiziale antinucleare significa abbandonare l’ecologismo come bandiera ideologica, ma calarlo sui problemi quotidiani per migliorare la qualità della vita delle imprese e dei cittadini, come fecero allora l’Italia, nel 1966 il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, e la Francia dopo gli shock petroliferi degli anni ’70.
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Escludere oggi il nucleare dal mix energetico avrebbe un costo economico importante perché richiederebbe investimenti aggiuntivi sulle altre tecnologie, che verrebbero in buona parte trasferiti sui consumatori. Il declino nell'uso dell'energia nucleare nelle economie avanzate determinerebbe sostanziali aumenti degli investimenti nelle energie rinnovabili pari a 1,6 trilioni di dollari entro il 2040, con un costo della fornitura di energia elettrica quantificabile in 80 miliardi di dollari in più all'anno. Se ne accorgerà presto proprio la Germania, il Paese che paga già oggi l’energia più cara in Europa. Per una pregiudiziale ideologica e contro la volontà di due terzi della pubblica opinione tedesca, la Germania negli anni precedenti ha sostituito la produzione elettrica nucleare con il carbone e il gas russo, arrivando nelle scorse settimane a completare la chiusura delle sue centrali nucleari, mentre tutti gli altri Paesi confinanti (da cui la Germania compra energia) hanno annunciato programmi di rilancio del nucleare.
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