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Open to meraviglia, Paragone: oltre la Venere c'è l'Italia da valorizzare

Gianluigi Paragone

Stavo ancora aspettando la Daniela sul suo terreno più amico, la comunicazione. Lei, ministro del Turismo, è anche una imprenditrice assai esperta nel marketing e il turismo è soprattutto marketing. Quindi, ero certo che sarebbe arrivata una campagna. Avere scelto la Venere di Botticelli come icona della bellezza italiana mi sembra tutto sommato una buona idea e le polemiche sull’uso dei dipinti più celebrati come testimonial non hanno senso. La pittura, la scultura, il teatro, il cinema, la musica, la letteratura - insomma l’Arte non vivrà mai limitata al suo tempo ma è destinata a uscire dal campo di appartenenza. «La poesia non è di chi la scrive ma di chi se ne serve», dice il Postino a Pablo Neruda.

Le critiche del sindaco Nardella e del direttore degli Uffizi Schmidt che vorrebbe blindare le «sue» creature rischiano di apparire un esercizio di bello stile ma egoistico: la Venere appartiene all’Italia e a ciò che essa rappresenta nel mondo e cioè la bellezza, il buono, il ben fatto e via dicendo. Quindi bene la Venere declinata in chiave pop, leggera; persino influencer se serve per essere competitivi nella borsa del turismo. Decisamente meno bene l’idea dello slogan anglofono «Open to Meraviglia»: non significa nulla, non trasmette nulla. Non emoziona quindi non ha senso; e mi «meraviglia» che la Santa non lo abbia percepito immediatamente.

Italia è emozione e siamo percepiti come il superlativo assoluto. È lì che dobbiamo stare. Non siamo un lunapark della globalizzazione, non siamo una mèta per visori digitali come fossimo un Paese tra tanti. No, questo no. In questi giorni Milano sta attirando migliaia di visitatori attratti dal Salone del Mobile, un appuntamento dove il design tocca punte di eccellenza assoluta, dove l’artigianato dei mobilifici fonde l’abilità artigiana con la tecnologia produttiva. Il design degli interni che si fa polifonia con le architetture di Milano. Si tratta di un appuntamento mondiale, che esce dagli stand fieristici e produce indotto, recupero di aree meno centrali. È una storia di successo. Come lo sono le settimane della moda, il Vinitaly, l’Eicma o i festival di Venezia e iniziative del genere.

Il design, la moda, il cibo, l’arte: la firma italiana pesa. E allora va protetta nella sua crescita. La Venere esce dal museo e può affrontare la massa dei social perché lei è la Venere del Botticelli, ci va con la sua personalità. Vale in ogni settore del Made in Italy. La difesa senza tentennamenti dell’agroalimentare va fatta perché non farla significa far vincere gli altri e bene sta facendo la Coldiretti a mettersi l’elmetto: noi dobbiamo stare con loro! La terra non può appartenere alle multinazionali che detengono i brevetti, perché non avendo identità non capiranno mai il valore autentico di un frutto o di un ortaggio di un’area specifica, il valore di un grano tipico di un territorio, di una vacca fassona o marchigiana, di un vino o un olio che se ti sposti di qualche chilometro assume un altro carattere. Coldiretti ha speso gli ultimi anni a difendere la sua Venere, prima dalle contraffazioni ora dalle multinazionali; e bene sta facendo ora il governo ad affiancarsi in quelle battaglie. Che sono battaglie sacrosante in difesa del nostro vero bottino, sia esso un’opera di design o un disegno sartoriale, sia un vino o un olio, siano le nostre coste o il nostro patrimonio architettonico e storico. Quindi se il dipinto della Venere val bene per un selfie, facciamola uscire dal dipinto e influenziamo il mondo di quanto siamo belli.