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Con Meloni va in archivio l'assistenzialismo senza limiti

Riccardo Mazzoni
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Il governo sta per mandare definitivamente in archivio decreto dignità e reddito di cittadinanza, le due misure bandiera del grillismo al governo che hanno in larga parte fallito gli obiettivi prefissati, essendo nati su meri presupposti ideologici. Le deroghe introdotte dal governo Draghi al provvedimento voluto da Di Maio quando era ministro del Lavoro sono scadute nello scorso autunno, e ora si interverrà sulle causali per rendere il mercato più flessibile in un momento in cui sta crescendo l’occupazione stabile. I datori di lavoro non dovranno più, insomma, dimostrare l’esistenza di un fattore straordinario per ricorrere al lavoro a termine, e la direzione è quella di potenziare il rinvio alla contrattazione collettiva. Una strada obbligata, visto che il decreto dignità dimostrò subito, ancora prima dei lockdown, di non funzionare, non agevolando il passaggio a tempo indeterminato ma solo accorciando il periodo del lavoro a termine. Già il primo bilancio fu fallimentare: nei quattro mesi successivi all’approvazione si registrarono infatti 50mila assunzioni temporanee in meno rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente, con una perdita di circa 250mila occupati solo nel mercato gestito dalle agenzie per il lavoro, soprattutto per l’introduzione della causale nei rinnovi dei contratti a termine, senza la quale diveniva obbligatoria, superati i dodici mesi, l’assunzione a tempo indeterminato. Così fu irrigidito il mercato del lavoro proprio mentre l’economia italiana stava rallentando.

 

 

Un autentico disastro, dunque: la «lotta alla precarietà», obiettivo propagandistico dei Cinque Stelle, era rimasta sulla carta a causa di una norma velleitaria e scritta male, oltre che di dubbia utilità, visto che il numero dei contratti a termine in Italia era sotto la media dei Paesi della zona euro. Nessuno poteva ovviamente prevedere l’arrivo della pandemia, ma quando l’Italia entrò in recessione, col rischio di una grave crisi sociale, era stato depotenziato un fondamentale strumento di flessibilità utile per far crescere l’occupazione. Anche sul reddito di cittadinanza si volta finalmente pagina: dal primo gennaio 2024 chi versa in una situazione accertata di difficoltà economica continuerà a percepire il sussidio, ma attraverso un nuovo meccanismo di sostegno alle persone non occupabili, mentre per i cittadini occupabili dai 18 ai 59 anni ci saranno nuovi strumenti di politiche attive del lavoro, visto che quelle previste dal reddito di cittadinanza non hanno mai funzionato. Eppure il sussidio grillino fu presentato in primo luogo proprio come una misura di reinserimento nel mondo del lavoro, e in questo senso il fallimento è stato evidente: avrebbe dovuto spostare persone dalla condizione di inattivo – chi non cerca lavoro – a quella di disoccupato – chi lo cerca – e in seguito ovviamente di occupato, ma in realtà non ha né creato lavoro né spinto chi non lo aveva a cercarlo.

 

 

Lo stesso ideatore della misura, il presidente dell’Inps Tridico, ammise che il reddito di cittadinanza era stato gravato di troppi compiti. Quindi, chi sostiene – anche nel Pd - che ogni riforma del sussidio è un tentativo di criminalizzare la povertà, lo fa solo per un riflesso ideologico: oltre al conclamato fallimento delle politiche attive – vedi alla voce navigator - anche la parte assistenziale, che un ruolo nella crisi del Covid lo ha comunque svolto, ha infatti generato innumerevoli abusi non raggiungendo peraltro le famiglie numerose. Ogni governo deve porsi ovviamente il problema di combattere la povertà, ma il reddito di cittadinanza è stato essenzialmente diseducativo, perché ha creato una surrettizia categoria di parassiti di Stato, soprattutto fra i giovani, ingrossando il lavoro nero e dando il falso messaggio per cui la povertà non si combatte incentivando l’occupazione, ma con l’assistenzialismo senza fine. È dunque l’ora di ribaltare la logica che ha portato sia al reddito di cittadinanza che al decreto dignità, perché la povertà non è diminuita, il sussidio è stato una fonte inesauribile di abusi, e il precariato è aumentato.

 

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