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Se le strade fanno schifo con chi ce la prendiamo? L'ira di Paragone

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Gianluigi Paragone
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Chiedo scusa se scrivo di una cosa talmente banale che ormai ci siamo rassegnati a non farci nemmeno più caso: la manutenzione delle strade. Sembra infatti che ci dobbiamo rassegnare all’idea delle buche, di tombini come ostacoli, di rattoppi realizzati con sciatteria, alle delimitazioni di mini cantieri che ormai stanno lì da settimane con i loro nastri biancorossi e cartelli poggiati a terra fino a quando non si sa. E che dire della segnaletica? Invisibile, composta e persino fuorviante. Sia quella in terra sia quella cartellonistica: «Tanto ci sono i navigatori e quindi chi volete che metta soldi su nuovi cartelli», commentava un vigile tra il serio e l’ironico. Già, chi mette i soldi? Nessuno pare abbia più soldi. Però le tasse le paghiamo e paghiamo pure una valanga di multe che, stando a una ripartizione di quel gettito, dovrebbero servire per la prevenzione degli incidenti, quindi anche a curare le strade. Non c’è zona d’Italia dove non si ponga la questione nel senso che dappertutto facciamo i conti con uno stato stradale imbarazzante: se sei in macchina o su due ruote, pare un rally che mette a dura prova gli ammortizzatori e la schiena. Se va bene. Se invece va male, capita che quelle buche provochino incidenti pericolosi o danni alle vetture, soprattutto i pneumatici. E poi anche il senso estetico di una città a cui non prestiamo più le cure.

 

 

Allora domando: ma è possibile che ci si debba rassegnare a tutto? Che non si possa pretendere ciò che dovrebbe essere un diritto? Trovo inaccettabile che non ci siano i soldi per un manto stradale decoroso e che si debba pregare qualche santo nella speranza di vedere una buona gittata di asfalto dopo gli interventi di livellamento? Un tempo si sperava nelle elezioni comunali per il restyling, ora nemmeno più il voto amministrativo serve. Sono stato in Sicilia qualche giorno fa e mi raccontavano che solo grazie al Giro ciclistico della Regione hanno visto i mezzi all’opera per consegnare agli atleti strade ben tenute per la gara. Sono contento per i ciclisti professionisti, tuttavia non mi rassegno all’idea che nell’anno di grazia 2023 non ci siano i soldi e le maestranze per una manutenzione stradale fatta a regola d’arte. Non lo accetto, perché le arterie di collegamento sono indispensabili.

 

 

Si parla di piani e soldi per il Pnrr, si parla di grandi opere, di soldi per la digitalizzazione, ma per l’ordinario a chi occorre domandare? Il grande boh vince. Assieme alla rassegnazione di doverci accontentare di strade penose, mal curate se non addirittura cloache, e di marciapiedi sgangherati. Non c’è rabbia di fronte a servizi inefficienti, sanità tagliata, scuole fatiscenti, giardini malcurati e ridotti a pattumiere. Ah, a proposito. Nelle città dove c’è il bike sharing ormai assistiamo alla sostituzione dei cestini pubblici con i cestelli delle biciclette elettriche che si noleggiano: così chi avesse la necessità di prendere la bici, scarica bellamente il pattume tra uno sbalzo e l’altro. Strana idea di ciclo dei rifiuti. Capisco che ci sono problemi molto più urgenti di questo, ma se manco più riusciamo a garantire strade decenti e città da vivere, io credo che nessuna digitalizzazione ci garantirà di sopravvivere alla crisi in corso. Guardiamoci attorno e proviamo a dare ascolto ai nostri anziani: «Che schifo è diventata questa città». Solo che questa città è dappertutto, nessuna esclusa, da Roma a Milano, da Torino a Palermo, da Verona a Bari.

 

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