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La solitudine di Papa Francesco sulla pace: l'ultimo vero diplomatico

Santi Bailor
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La passione di sofferenza di Papa Francesco non finisce con la fine della Pasqua e delle sue celebrazioni perché la guerra russa in Ucraina va ancora avanti, e una tregua resta ancora un miraggio. «Perseveriamo - ha detto il Pontefice - nell'invocare il dono della pace per tutto il mondo, specialmente per la cara e martoriata Ucraina». Parole di disperazione per la realtà attuale, ma pure di speranza per un futuro che riesca a mutarla. Una speranza che deve fare i conti con uno stato delle cose che è tutt’altro che confortante. Oggi infatti non si trova una diplomazia - occidentale e non - che sia in grado di metter in campo una bozza di possibile accordo tra le parti in conflitto: l’Ucraina invasa e la Russia aggressore. Come se non bastasse, oltre al ritorno d’una guerra in Europa, il mondo deve badare anche alle crescenti tensioni sul piano internazionale, a cominciare dal duello fra Cina e Stati Uniti sulla questione di Taiwan.

 

 

In Africa poi, la pacificazione in Paesi come la Libia è ben lontana e anche la Tunisia attraversa un momento di profonda crisi, per non parlare delle nazioni più a sud di Libia e Tunisia dove le influenze cinese e russa si fanno crescenti, la prima puntando sull’economia e la seconda sui mercenari della Wagner. In questo quadro, per nulla rassicurante, la voce del Papa nei giorni delle festività pasquali è risuonata come una preghiera nel deserto diplomatico attuale, dove non si intravede una tregua possibile. Son tempi maledettamente complicati e il Papa, con la sua solitudine nel chiedere la pace, ne è un esempio. Ma anche un monito. Perché un mondo in perenne conflitto è un mondo destinato alla boxe internazionale fra Stati. Che non è uno sport ma un braccio di ferro basato (solo) sulla forza.

 

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