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Papa Francesco contro il "carrierismo". Dito puntato contro il clero

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Gianfranco Ferroni
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Papa Francesco ieri nella messa del Crisma da lui celebrata nella basilica di San Pietro ha ricordato che è il momento di «pascere il gregge di Dio e non più noi stessi», smettendo di «inseguire posti d’onore: il carrierismo nostro, fratelli». È un insegnamento che deve valere per tutti, e non solo per chi vive nella chiesa: anche per chi amministra un comune, un ente locale, fino ai livelli più alti. È un modo di scuotere le coscienze, per ricordare che l’obbligo, per coloro che svolgono una funzione pubblica, religiosa o laica che sia, è mettersi a disposizione della comunità nella quale vive.

Frasi che vengono pronunciate proprio nelle ultime ore dedicate alla formazione delle liste delle nomine per le società partecipate dallo Stato: i cacciatori di teste stanno delineando i profili per i ruoli di amministratore delegato e di presidente, per portare poi all’attenzione dei «decisori» i nomi più adatti da scegliere. Persone che la prossima settimana saranno chiamate a governare gruppi che danno lavoro a tante persone, e a far crescere e vivere le loro famiglie. Papa Bergoglio in questo modo ha saputo parlare al popolo cattolico per evidenziare che è un compito difficile «identificare» chi ha le caratteristiche migliori per guidare un «gregge».

E negli stessi momenti del discorso del pontefice venivano aperti all'Hotel Quirinale i lavori del lungo incontro intitolato «Pensare l’immaginario italiano. Stati generali della cultura nazionale», con i principali esponenti della creatività, e non solo, dall’arte al cinema, dalla televisione al giornalismo, dai beni culturali al teatro passando per fondazioni e associazioni. Dove la questione principale è la stessa descritta da Papa Francesco, sottolineando che una parte politica, nel corso dei decenni, ha «occupato il potere», con «posti d’onore» riservati a un ristretto gruppo, totalmente impermeabile al mondo esterno ed alla realtà. Una crisi della rappresentanza, un’esclusione di voci e di intelligenze che ha danneggiato la cultura: questo perché la burocrazia, da sempre, uccide ogni forma di creatività, ingabbiandola secondo schemi che prevedono un’assenza di dibattito, dove tutti hanno la stessa idea sul futuro del mondo. È proprio quel carrierismo denunciato da Papa Francesco che ha deformato la visione quotidiana, evitando di liberare nuove energie, alternative, capaci di stimolare tutte le parti: non era previsto dare voce ad una società aperta e non omologata.

E qui nasce la domanda, fondamentale, che deve accompagnare ogni scelta pubblica: chi fino ad oggi ha tenuto tra le mani il potere di un’azienda, ma anche di un ministero, di un'istituzione culturale, è stato in grado di avere una visione ampia, senza preconcetti, del proprio ruolo? Spesso i titoli accademici roboanti non bastano per indicare la persona giusta per un posto di alta responsabilità: l’adattabilità è nemica della specializzazione, e nei prossimi anni serviranno sempre di più uomini e donne in grado di capire come accompagnare il cambiamento della società senza escludere nessuno. Le parole di ieri di Papa Francesco sono molto di più di un consiglio morale. 

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