Migranti, salviamo vite ma l'Europa non si accontenta
«Non sapete quello che accadrà tra qualche mese, non avete idea. O l’Europa si rende conto che siamo arrivati al punto zero o saremo costretti a piangere ancora altri morti perché nei Paesi di partenza non si dice che fine fanno i loro connazionali. La gente è convinta che pagando i mafiosi e salendo sulle zattere potrà raggiungere l’Eldorado. E non è così». L’allarme lanciato ieri dal ministro del Mare Musumeci, dopo che la Guardia costiera in 24 ore ha salvato più di 1.300 migranti, con il numero di arrivi giunto nel 2023 a quota 17.592 - il triplo di un anno fa – è purtroppo realistico, e tutti dovrebbero prenderne coscienza, a partire dal Pd che pontifica dopo aver governato per dieci lunghi anni senza risolvere nulla.
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Sarebbe il momento, insomma, di dismettere le opposte propagande, prima di tutto senza lucrare politicamente su tragedie come quella di Cutro: il centrodestra lo ha fatto seguendo la bussola pragmatica di un governo responsabile, la sinistra invece resta aggrappata alla barricata ideologica dell’accoglienza indiscriminata. Di fronte a un fenomeno di dimensioni epocali che sfugge al controllo degli Stati sovrani è illusorio sia pensare di blindare le frontiere che di far entrare tutti senza porre alcun limite: sono due facce speculari di politiche entrambe destinate al fallimento. Ci sono molteplici fattori che in questo momento storico alimentano la spinta a emigrare: pensiamo all’Afghanistan dell’oppressione talebana, alla Siria in fiamme e devastata dal terremoto, al Corno d’Africa, alla Libia e alla stessa Tunisia, unica democrazia rimasta dopo le primavere arabe ma ora in preda a un’involuzione autoritaria. Persecuzioni, fame e clima sono un mix esplosivo in grado di mettere in marcia milioni di esseri umani.
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È dunque sempre più chiaro che l’Italia non può farcela da sola, e che a causa della nostra posizione geografica è difficile attuare una stretta anti-sbarchi come quella varata dal premier britannico Sunak, per cui il governo Meloni è chiamato a un’impresa finora fallita da tutti, compreso Draghi: svegliare dal letargo il convitato di pietra che si chiama Europa. Lo scambio epistolare tra la nostra premier e i vertici di Commissione e Consiglio Ue sembrerebbe aver aperto uno spiraglio, ma i precedenti inducono al pessimismo, perché troppe promesse sono finite nel nulla. Nel summit del 9 febbraio sono state concordate «misure pratiche e concrete nel campo dell’aumento dell’azione esterna, della cooperazione rafforzata in materia di rimpatri e riammissione, controllo delle frontiere esterne dell’Ue, lotta alla strumentalizzazione, alla tratta e al traffico di migranti», ma a fronte dell’aumento esponenziale degli arrivi sulle nostre coste per il momento l’unica risposta è stata quella di sette Paesi che ci hanno messo sotto processo – con il sostegno della Commissione - per la vicenda dei dublinanti, ossia degli stranieri registrati in Italia e sconfinati in altre nazioni dell’Ue, che secondo il Regolamento di Dublino noi dovremmo riprenderci. Mentre i governi che rifiutano i ricollocamenti concordati non subiscono né richiami né sanzioni, l’Italia che salva migliaia di migranti viene invece messa nel mirino quando tenta di arginare i traffici degli scafisti e di difendere i suoi confini, che sono anche i confini europei.
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C’è, insomma, tanta responsabilità italiana e neanche un po’ di solidarietà europea. Quindi, o l’Europa batte un colpo - e oggi non sta dando una mano né sul fronte della distribuzione dei migranti né su quello dei rimpatri, o già nelle prossime settimane ci troveremo di fronte a una situazione drammatica e ingestibile. Le tragedie in mare si scongiurano bloccando le partenze e aprendo flussi legali attraverso accordi di partenariato che dovrebbero essere gestiti a livello comunitario, ma per fare questo ci vorranno anni. Nel frattempo va disattivato il cortocircuito per cui, mentre la redistribuzione dei migranti dall’Italia all’Europa si è finora limitata a una percentuale irrisoria, chi si dice pronto a collaborare – come Francia e Germania – ci pone la condizione capestro di bloccare i movimenti secondari e di riprenderci tutti i dublinanti