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Primarie, dentro i gazebo: le "confusionarie" di un Pd indeciso su tutto

Riccardo Mazzoni
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Sui gazebo delle primarie del Pd oggi verranno issate due bandiere che sono un perfetto ossimoro: quella arcobaleno della pace e quella giallo-celeste dell’Ucraina, plasticamente incompatibili per il loro significato ideologico. Il segretario uscente Letta, che venerdì ha voluto meritevolmente concludere il suo mandato con una visita all’ambasciata di Kiev per ribadire il suo sostegno senza macchia alla causa del Paese aggredito, ha detto che è la ferrea coerenza contro la guerra di Putin l’eredità che vuol lasciare al partito.

Ma è lui stesso che ha accolto con entusiasmo la proposta di Acli e Arci di esporre le bandiere della pace ai seggi per le primarie: «È una bellissima idea. Alle bandiere della pace ai gazebo chiediamo ai nostri militanti di affiancare quella dell’Ucraina, a simboleggiare l’impegno della comunità democratica a sostegno di ogni iniziativa di pace e sempre dalla parte dell’aggredito».

L’idea che in realtà si tratti di una palese contraddizione in termini forse lo ha sfiorato, ma alla fine ha benedetto questo espediente molto tartufesco che consente di non scontentare le diverse anime di un partito nel quale la componente pacifista è tutt’altro che marginale, incarnata dalla stessa Elly Schlein candidata alla segreteria. M ala mobilitazione pacifista di questo fine settimana ha spazzato via ogni lettura ipocrita: dalla marcia notturna di Assisi alle manifestazioni organizzate in cinquanta città è infatti stato escluso chiunque osi sostenere che l’invio di armi all’Ucraina è l’unico mezzo necessario per contrastare il disegno criminale di Putin.

Col mantra «per noi la pace è imprescindibile», delegazioni dem vi hanno partecipato senza però specificare quale tipo di pace intendono, ben sapendo che quella improponibile a cui aspirano i cortei arcobaleno è solo la resa senza condizioni del popolo ucraino: una posizione che cerca di nascondere la viltà pelosa dietro l’usbergo dei buoni propositi universali e che accomuna nostalgici del comunismo e settori del mondo cattolico.

Dunque, le due bandiere che sventoleranno oggi sui gazebo simboleggeranno bene il vizio d’origine che ha sempre connotato la cifra politica del Pd: il leggendario «ma anche» con cui Veltroni tentò di creare un artificioso melting pot di posizioni spesso incompatibili che, a partire dalla vocazione maggioritaria subito dismessa, ha impedito l’elaborazione di una precisa identità politica, e non saranno le confusionarie odierne a risolvere la questione. Confusionarie perché la campagna congressuale è stata una babele di contraddizioni che ha finito per ribaltare i ruoli fra i due protagonisti: Bonaccini, stagionato amministratore forgiato alla scuola di Botteghe Oscure si presenta come il vero innovatore in quanto inviso alla vecchia nomenklatura perdente che, per paradosso, è invece tutta schierata con la stella nascente-cadente Schlein, eterodossa paladina dei diritti che intenderebbe rivoltare il partito dalle fondamenta.

Sullo sfondo restano le aborrite correnti, carsicamente scomparse ma pronte a riemergere, mentre i cacicchi sono rimasti tutti al loro posto per far valere ognuno la propria quota di potere negli assetti futuri. Confusionarie nello svolgimento, nelle parole d’ordine (l’antifascismo, perenne cavallo di battaglia contro la destra e l’antirenzismo come cemento per abiurare la stagione riformista) e nello stesso Manifesto dei valori sdoppiato, perché insieme al nuovo è rimasto il vecchio, nel tentativo di tenere tutti dentro, dai liberali ai post comunisti, dai cattolici ai radicali, con i renziani ridotti a paria politici se vincerà la Schlein.

Perfino le primarie, finora sbandierato fiore all’occhiello della ontologica diversità, sono finite nel mirino come metodo di selezione della classe dirigente, e forse queste saranno le ultime. La traversata nel deserto dopo le batoste elettorali inizia insomma perpetuando errori e contraddizioni, per cui chi vincerà oggi potrà fare la seguente dichiarazione programmatica: «Siamo il Pd, ma anche il Pd».

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