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Gli italiani sull'Ucraina non accettano consigli da nessuno. Paragone: c'è voglia di pace

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Gianluigi Paragone
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Maledizione, questi italiani proprio non ne vogliono sapere di pensare secondo le buone regole del politicamente corretto. E ci fanno fare cattive figure in giro per il mondo. Dietro quell’altro, quello che davanti ai giornalisti proprio nel giorno delle elezioni si mette a criticare Zelensky come un Santoro o un Di Battista qualunque. A leggere i giornali di ieri sembrava che dovessimo chiedere scusa per un sondaggio - tra l’altro nemmeno così inedito nel risultato finale - secondo il quale la metà degli italiani non si schiera né con Zelensky né con Putin; e secondo cui la maggioranza degli intervistati è contraria all’invio delle armi in Ucraina e la preoccupazione per le conseguenze economiche è maggiore per quelle belliche. Questo orientamento, rispetto ad analoghe interviste in giro per l’Europa, vede i nostri compatrioti differenziarsi rispetto ai cittadini di altre nazioni europee, più propense a schierarsi con il presidente ucraino, più calde nell’appoggiare l’invio delle armi e una conclusione militare. Mannaggia, ci dobbiamo sempre fare riconoscere. Che brutta figura, dopo tutto il lavaggio del cervello compiuto al fine di prendere le parti del povero Zelensky cui l’orco cattivo, Vladimir Putin, ha tolto democrazia e libertà. Invece che succede? Che gli italiani sono equidistanti. Vergogna! Piuttosto che gettare la croce contro l’indifferenza o il qualunquismo dominante (come qualcuno tra giornali e tv ha già avuto modo di dire), sarebbe interessante provare a capire cosa ci sia dietro questo atteggiamento tutt’altro che menefreghista o superficiale.

 

 

Provo a elencare alcuni fattori che, avendo frequentato la metà del cielo contraria alla guerra ed equidistante da Russia e Ucraina, ho sentito ripetere con maggiore frequenza. Il motivo economico. E’ importante, certo. Almeno per due grandi questioni. Innanzitutto, per anni e anni la Russia ha fornito energia a basso costo all’Europa, attraverso i suoi gasdotti, consentendo così alle imprese di stare sul mercato a condizioni assai competitive (specie laddove vi era dumping di manodopera e vantaggio fiscale) e alle famiglie di stare al caldo senza badare troppo al consumo di energia perché tanto non era la materia prima a rendere le bollette care ma il complesso delle altre voci, i cosiddetti oneri di sistema. In una economia reale dove le micro e le piccole imprese stanno sotto il paradigma del «casa e bottega», godere di una politica energetica competitiva era un bel vantaggio. Che oggi pesa notevolmente. Inoltre la Russia era quel granaio d’Europa fondamentale per le nostre aziende agroalimentari. La Russia, inoltre, era un grande mercato per l’esportazione del made in Italy, specie di un certo livello: la crescita del ceto medio e la formazione di nuove classi sociali benestanti consentiva bei fatturati. Per non dire del flusso turistico e del mercato immobiliare garantito dai russi. Provate a domandare in Versilia cos’abbia significato la contrazione provocata dalle sanzioni. Da qui la domanda: non è che queste sanzioni stanno facendo male più alla nostra economia che a quella russa? Ecco, molti italiani che sanno far di conto non hanno problemi a parlare di questi saldi.

 

 

Oddio, gli italiani sono così insensibili al dolore di chi è stato invaso perché devono proteggere le loro botteghe? Beh, siccome gli italiani non sono fessi non hanno problemi a rispondere che il cosiddetto fronte dei Buoni, cioè gli americani, non ha problemi economici perché non dipendono energeticamente dai russi e perché sta facendo affari d’oro con l’industria bellica. E siccome qualcuno guadagna vendendo armi, non è difficile capire che avanti di questo passo alla mediazione non si arriva più. Anzi, il rischio è quello che con l’aumentare l’intensità dell’arsenale impiegato si rischi una escalation inimmaginabile. Senza considerare gli interessi Usa in terra Ucraina. Proprio sul fronte degli armamenti da tempo si cerca di avere risposte circa la tracciabilità delle armi inviate e dei costi delle forniture. Pare che non si possa conoscere con esattezza l’importo della spesa pubblica che stiamo riversando sulle spese militari (il Corriere della Sera ha parlato di oltre un miliardo complessivo), con relativo dato su quali economie stiamo favorendo. Pure sulla tracciabilità delle armi, una volta arrivate in Ucraina, non è dato conoscere nulla di preciso, col rischio di favorire traffici militari illeciti, di armare la criminalità organizzata e alimentare nuovi conflitti. Ecco perché le risposte degli italiani non sono né codardia, né accortezza, né furbizia; piuttosto appartengono alla lunga tradizione di una nazione che ha sempre parlato con tutti ed era rispettata proprio per le sue relazioni diplomatiche.

 

 

Ultimo appunto, non di minore importanza. E riguarda la propaganda. Troppe volte, il mito dei cattivi e dei buoni si è afflosciato con il tempo, nonostante grandi proclami di democrazie da difendere e di libertà da custodire, anche a costo di rivelazioni inventate di sana pianta per giustificare l’intervento armato dei buoni. Se Putin è l’orco cattivo della storia, Biden non è affatto il buon samaritano e Zelensky sta esponendo il suo popolo e l’Europa ad una guerra dove in gioco ci sono interessi molto più alti di quel che ci stanno dicendo. E gli italiani lo hanno capito bene.

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