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Caso Firenze, i democratici usano la scuola come un fortino ideologico

Riccardo Mazzoni
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La bufera politica e mediatica scatenata contro il ministro Valditara, in un crescendo di accuse e di iperboli per aver criticato la lettera della preside fiorentina sulla molto presunta rinascita del fascismo («Si è messo fuori dalla Costituzione, si dimetta...»), non può sorprendere, essendo da sempre la scuola pubblica uno dei fortilizi ideologici della sinistra. Il ministro, peraltro, non ha mai detto di voler emettere sanzioni o censure, esercitando solo il diritto di critica: «Non ritengo sia necessario intervenire», aveva infatti subito specificato nell’intervista a Mattino 5. Ma non illudiamoci, il clima di tensione è destinato a crescere, perché il Pd ha tutto l’interesse a strumentalizzare la vicenda come arma di distrazione di massa, non a caso la Schlein concludendo la sua campagna, a Firenze, ha intonato Bella ciao «per rispondere a Valditara», come se il ministro fosse un nemico dell’antifascismo. Il solito copione, insomma, che viene puntualmente ripescato ogni volta che il centrodestra vince le elezioni. In questo senso, il campionario della propaganda ai limiti del grottesco è vastissimo: ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, ad esempio, la sinistra fece sfilare gli alunni delle elementari col lutto al braccio nel primo giorno di scuola dell’anno scolastico 2008-2009, una protesta ampiamente sponsorizzata dal Pd contro la reintroduzione del maestro unico prevista dalla riforma Gelmini. Fu una sceneggiata incredibile con l’assenso di maestri e maestrine rosse agli ordini di un partito che ha sempre visto la scuola statale come un immenso serbatoio di consensi: in parte ammortizzatore sociale-clientelare e in parte mezzo di indottrinamento politico. Quando Berlusconi osò affermare questa scomoda verità, denunciando la presenza di troppi professori legati più all’ideologia che all’insegnamento, Bersani e Franceschini ordinarono la mobilitazione contro chi aveva violato un santuario ritenuto intoccabile.

 

 

Resta memorabile il fondo del direttore dell'Unità, contro la Finanziaria 2009 di Tremonti, in cui si proclamava «l'imparzialità» delle scuole di Stato. In una prima pagina tutta scritta, tipo Manifesto di Engels, il quotidiano del Pd scrisse che in Italia c’era un partito dominante (il Pdl) che, senza fare una nuova marcia su Roma, voleva comunque istituire una «larvata dittatura» e trasformare le scuole di Stato in scuole di partito «perché si è accorto che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali...»: per questo il «partito dominante» aveva deciso di «impoverirle per rovinarle» dando più risorse pubbliche alle scuole private. E paragonò la «resistenza» delle avanguardie docenti politicizzate e dei contestatori che bloccavano le lezioni e infiammavano le piazze - a quella contro il fascismo, accusando il governo di radicalizzare lo scontro con gli studenti. Non solo: partì anche una capillare campagna di disinformazione un autentico terrorismo psicologico – secondo cui la riforma prevedeva l’abolizione del tempo pieno. Era una menzogna spudorata, ma servì ad alimentare per mesi, irresponsabilmente, l’allarme sociale nel Paese.

 

 

Rovesciare la realtà, del resto, è un vecchio espediente leninista rimasto un retaggio inossidabile degli eredi del Pci: non è forse vero che per decenni i libri scolastici hanno nascosto parti fondamentali di verità storica, basti citare le foibe? Altro che scuola pubblica imparziale, se certi professori sceglievano libri di testo in cui nella stessa pagina, fra i più grandi criminali della Repubblica, figuravano Totò Riina e Bettino Craxi, e se sui crimini del comunismo si era stesa una coltre impenetrabile di silenzio, in attuazione dell’egemonia culturale teorizzata da Gramsci. Dunque: passano i lustri, ma la sinistra non riesce a liberarsi dai suoi antichi vizi, e Valditara è solo l’ultimo bersaglio di una lunga serie di manipolazioni.

 

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