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Paragone attacca sul Superbonus: “Lo Stato si è arreso alla logica del rigore europeo”

Gianluigi Paragone
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Bisognava fermare una situazione quasi fuori controllo con gravi conseguenze sul debito pubblico, commentano dal governo. E allora uno si domanda: è mai possibile che siccome lo Stato non è capace di controllare i furbi (i quali ormai hanno già incassato quindi campa cavallo) allora si riduce a un infantile «Scusate, abbiamo scherzato»? Quanto vale la parola dello Stato, dopo tanto tira e molla? E dopo che anche in partiti del centrodestra in campagna elettorale non avevano mai ipotizzato uno stop siffatto. Il blocco repentino e totale alla cessione del credito (fatta eccezione per chi è in fase di avanzamento dei lavori) è distruttivo; per usare una immagine che richiama il settore, è come bloccare bruscamente e di botto un camion carico di materiali. Il camion è l’edilizia, il carico è fatto dai 15 miliardi di crediti fermi. Niente più cessione del credito a Regioni ed enti locali: in un momento di difficoltà complessive, tra cui l’inflazione, il costo dell’energia, delle materie prime, la difficoltà coi fornitori, 25mila aziende sono a rischio fallimento per mancanza di liquidità. «Anche il governo Draghi ha tentato di intervenire ma quando ormai la situazione era fuori controllo», hanno commentato dal governo. «Abbiamo dovuto bloccare gli effetti di una politica scellerata che ha prodotto beneficio per alcuni ma posto a carico di ciascun italiano un debito di 2000 euro a testa».

 

 

Onestamente questa spiegazione non solo conferma l’impressione che l’agenda Draghi sia tuttora la linea politica dell’esecutivo, ma non è nemmeno corretto nella sua lettura complessiva. In una fase di rilancio, il governo non può limitarsi a vedere il «suo» impegno di cassa, giocando tra l’altro sulla retorica liberista di contabilizzare la spesa pubblica sui singoli cittadini (occhio perché poi l’antipolitica ha gioco facile a dire: e voi, cari parlamentari, cari ministri, quanto ci costate? Quanto costa il carrozzone delle partecipate? E via di questo passo, col rischio appunto che il boomerang vi torni in testa), il governo deve guardare alla crescita che quella scommessa genera in termini di ricavi, di posti di lavoro conservati o creati, si filiere che ripartono. Il meccanismo del superbonus aveva riavviato un comparto nevralgico, fermare l’edilizia e ciò che genera in termini di indotto fa ipotizzare che il governo si sia arreso alle solite logiche di austerità dettate da Bruxelles e dalle richieste del sistema bancario, la cui capienza fiscale è arrivata al limite ed è scattato l’allarme.

 

 

Se il Pil fa +7% anche grazie al meccanismo della cessione del credito, vuol dire che ci hanno guadagnato le casse delle imprese, le imprese e i lavoratori: perché allora non cercare di correggere coraggiosamente, sapendo che i furbi hanno già incassato e sono usciti? Si sa che andava risolto il problema principale ovvero la facile illusione del «tanto paga pantalone»: bisognava mettere un tetto al costo dei materiali; da quando è uscito il superbonus i materiali sono quasi ventuplicati. È un po’ come se il cambio lira/euro non avesse insegnato nulla. Se però non riusciamo a mettere un tetto e garantire un controllo nonostante i dati dei prezzi siano in possesso del ministro delle finanze, allora nessuno stimolo potrà essere praticato perché altrimenti i furbi in giro se ne approfittano, gonfiando le fatture (tra l’altro questo è un tema che non vale solo nel caso specifico della cessione del credito: vogliamo raccontare quanto lievitano le opere pubbliche, specie quelle in regime di straordinarietà?). In seconda battuta alle banche non si doveva consentire di approfittare delle maglie larghe e poi, alla bisogna, andare a bussare alle porte del governo minacciando di far saltare il banco. Dovevano far scontare i crediti, riconoscendo loro in cambio il vantaggio di essere comunque liquidate e dando ai loro advisor il compito di vigilare sugli abusi, previa segnalazione alla guardia di finanza. Purtroppo il decreto non farà né chiarezza né darà certezza agli operatori. Chiunque sa benissimo che la burocrazia in questo Paese non si ferma nemmeno di fronte alle parole dei governanti, i quali non accompagneranno gli imprenditori allo sportello della banca o di Agenzia delle Entrate.

 

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