Pd, manca il leader perché a sinistra hanno paura del popolo
Il vivace dibattito sulla leadership del moribondo Partito democratico difetta di un pezzo di analisi che ovviamente dalle parti del sinistrume non hanno il coraggio di fare. A sinistra manca un leader vero da tempo perché lo cercano nei laboratori del fighettismo salottiero e non in mezzo a quel popolo relegato da tempo fuori dalla porta nonostante per decenni e decenni ne fosse la struttura portante. Persino le feste dell'Unità ormai sono scariche, logorate, molli. Finché c'era Berlusconi andava tutto bene madama la marchesa, poi il pallone s' è bucato e buonanotte ai soliti suonatori i quali in repertorio non avevano altre canzoni se non quella del pericolo berlusconiano e blabla vario. I grandi temi del lavoro destrutturato, minacciato dalle multinazionali e da una Europa neoliberista non finivano sui radar perché ormai la sinistra aveva fraternizzato con i padroni, coi banchieri e con Bruxelles. Per conto dei quali hanno smontato l'intelaiatura delle piccole imprese e i diritti dei lavoratori.
Una sinistra dove il lavoro si disarticola per effetto delle pessime riforme scritte dai fu compagni non poteva andare lontano. Infatti ogni volta era una sconfitta elettorale, ribaltata dalle alchimie di palazzo; l'ultima la grande ammucchiata con il Banchiere Mario Draghi. Sconfitti nel Paese ma al governo in nome di larghe intese e inciuci vari. L'ultimo leader che saldava Palazzo e popolo è stato Matteo Renzi, il quale con tutti i suoi limiti caratteriali ebbe quanto meno il pregio di costruire dal basso la propria ascesa, miscelando buone conoscenze salottiere ad astute campagne retoriche, in primis quella della "rottamazione" come piede di porco per sfondare i muri delle vecchie nomenclature. Poi anche Renzi è precipitato, diventando un campione di tatticismi.
Pd e M5s in coro: "Mai visto un ritardo così". Ma con loro tempi più lungi
La vicenda legata alle mazzette elargite generosamente da Qatar e Marocco a sindacalisti, eurodeputati socialisti e ong fa il paio con il groviglio di opacità, di soldi e di omessi controlli, da ricondurre alla moglie, alla suocera e al genero di Soumahoro: si tratta di questioni accomunate dallo stesso vizio di forma, cioè la costruzione di una pseudo realtà. Da una parte i sindacalisti e le ong, dall'altra i difensori degli "ultimi" sbarcati in Italia e sfruttati da caporali e padroni; da una parte il mito della cooperazione, dall'altra i migranti. Tutta roba costruita ad arte senza verificare se dietro le apparenze ci fosse sostanza oppure no. Sulle ong coinvolte nello scandalo ci sono nomi di politici che avrebbero dovuto controllare e farsi da garante e che invece si sono accontentati delle apparenze e del contrasto tra buoni e cattivi. Sulla vicenda legata a Soumahoro ci sono le impronte digitali del fighettismo ipocrita del solito club che necessita della costruzione di un campione buono da contrapporre al cattivo, sulla base della difesa dei nuovi deboli.
Gli allarmi erano partiti, eppure nessun responsabile ha voluto guardare oltre le etichette per paura di smontare la narrazione. E' in questa scorciatoia mediatica il fallimento puntale della sinistra: non interessarsi più delle profonde trasformazioni sociali causate dalla globalizzazione e dalle migrazioni a danno dei ceti più scoperti, ma accontentarsi della rappresentazione del "cattivo" (Berlusconi, i fascisti, i razzisti eccetera) nella speranza di tirare avanti. Risultato? La destra diventa più credibile nella difesa dei lavoratori precari delle periferie, il Movimento Cinquestelle nonostante le sue evidenti contraddizioni- si posiziona sulla casella dove dovrebbe stare il Pd e il Pd che va a fondo perché non ha idee, sperando nella Schlein per recuperare in un'area progressista o in Bonaccini per apparire credibile agli occhi di pmi e nord. Eppure il nodo resta lì: il popolo resta fuori dalla verifica degli errori, abbandonato con tutte le sue angosce e i suoi timori.