il commento
Lagarde e Meloni, donne destinate a scontrarsi per le loro opposte visioni
C'è una prima donna sulla strada del premier Meloni. Si chiama Christine Lagarde. Ieri a capo del Fondo Monetario Internazionale, oggi alla presidenza della Banca Centrale Europea. Prima donna a ricoprire questi incarichi. Come Giorgia Meloni è prima donna a essere premier italiano. Non andranno d'accordo. Inevitabile. Hanno un unico punto in comune: i continui paragoni con Mario Draghi. Ma mentre il nostro premier ne ha probabilmente colto la parte migliore, come dimostra la manovra promossa da Bruxelles, al netto di qualche rilievo più politico, la Lagarde soffre probabilmente di un complesso di inferiorità. Succedere a Draghi non è semplice, ma da qui a portare l'Europa in recessione serve davvero tutto il suo impegno. Il punto è semplice: Lagarde intende proseguire nel rialzo dei tassi di interesse per frenare l'inflazione e questo non piace ai mercati finanziari ma soprattutto ai Paesi più indebitati, Italia in primis, che vedono così aumentare gli interessi da ripagare.
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Lagarde non ha capito. Aveva provato a spiegarglielo lo stesso Draghi, non direttamente per rispetto istituzionale ma attraverso il professor Francesco Giavazzi, suo fedele consigliere a Palazzo Chigi. Alzare i tassi è uno strumento sbagliato perché non abbiamo una inflazione da domanda, come negli Usa, ma abbiamo un'inflazione legata al prezzo del gas. Quindi a fronte della riduzione della domanda privata Giavazzi suggeriva che bisogna accelerare il Pnrr. Ora, sorvolando le complesse analisi su domanda e offerta, terreno più adatto al dibattito tra economisti, il punto centrale è che l'Italia nel 2023 dovrà collocare 450 miliardi di titoli di Stato e se la Lagarde prosegue con i rialzi dei tassi mette noi e altri Pesi con le spalle al muro. Meloni lo ha capito e alcuni ministri hanno mandato segnali diretti a Francoforte visto che lo spread è immediatamente risalito. Per tutta risposta la presidente della Bce ha replicato con una simpatica ingerenza: «Speriamo che l'Italia ratifichi velocemente la riforma del Mes».
Insomma, lo scontro tra Meloni e Lagarde è appena iniziato. Vi ricordate quando Meloni voleva Fabio Panetta al ministero dell'economia? Per fortuna è rimasto al suo posto nel Comitato esecutivo della Bce. È in quel ruolo che al netto delle dinamiche finanziarie potrà fare da sponda al nostro premier. Lagarde rischia di diventare davvero pericolosa: lo si era già capito il 12 marzo del 2020 quando una sua improvvida dichiarazione provocò una crollo delle borse, con Milano che perse il 17 per cento. Cosa aveva detto di tanto catastrofico? Nulla di che in fondo: «Il nostro compito non è ridurre gli spread, per farlo esistono altri strumenti e organismi». Come dire, il bazooka di Draghi è definitivamente in garage, adesso arrangiatevi. Non aveva colto, anche quella volta, che l'Europa si salva e si rilancia solo se resta unita. Se si affossano alcuni Paesi come l'Italia, probabilmente non ci sarà più l'Europa, la Bce, figuriamoci la Lagarde. Quando Meloni dice di voler cambiare l'Europa, il suono di quelle parole assume un suono diverso in questa prospettiva.