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La commissione su Tangentopoli non è un'eresia

Riccardo Mazzoni
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Il clamore riservato da la Repubblica alla proposta di legge ripresentata da Forza Italia - il testo è quello della passata legislatura- per istituire una commissione d'inchiesta su Tangentopoli appare, oltre che un altolà preventivo, anche un segnale di paura nel momento in cui la sinistra è in evidente difficoltà per il combinato disposto tra il Qatargate e il caso Soumahoro.

Saranno anche «gattopardi e nostalgici» i parlamentari che la vogliono, ma pretendere di consegnare definitivamente al giudizio degli storici una vicenda giudiziaria che cambiò letteralmente il corso della vita repubblicana è un atteggiamento troppo tartufesco per apparire credibile. Restano infatti molti punti oscuri su un'inchiesta, quella di Mani Pulite, che sezionò col bisturi politico le notizie di reato colpendo senza sconti il pentapartito e usando un metro del tutto diverso col Pci, basti pensare alle indagini sulla maxitangente Enimont che si fermarono sulla soglia di Botteghe Oscure.

La Seconda Repubblica nacque grazie al forcipe di quella falsa rivoluzione giudiziaria, e non avrebbe potuto avere peggior levatrice, perché scatenò una furia giacobina che trasformò l'Italia in un immenso piazzale Loreto giudiziario, spazzando via la classe politica che aveva salvato il Paese dal comunismo e lasciando sostanzialmente indenni i figli politici di Berlinguer, alimentando la falsa leggenda della loro diversità etica, e la sinistra dc, che del Pci era stata la principale alleata nella stagione del consociativismo. Su quegli anni oscuri non sarebbe giusto passare la cimosa della storia, perché gli echi di quella stagione si riverberano ancora oggi sul confronto politico e sul nodo mai risolto dei rapporti tra politica e magistratura. Del resto, a sinistra è cambiato forse qualcosa rispetto a trent' anni fa? Su Tangentopoli, sulla figura di Craxi e sul giustizialismo, a parte qualche voce isolata, non c'è stata nessuna seria revisione critica, come hanno dimostrato nel tempo le alleanze con i populismi estremisti di Di Pietro e di Grillo.

La commissione d'inchiesta non è dunque un rigurgito nostalgico, ma uno strumento parlamentare che sarebbe utile anche per ricostruire il filo rosso che ha unito Mani Pulite al successivo assalto giudiziario contro Berlusconi, il leader che con la sua discesa in campo nel '94 impedì alla sinistra di prendere il potere. Il punto non è tanto indagare sulle presunte ingerenze americane per rappresaglia dopo il caso Sigonella o su un golpe ordito dai servizi segreti di cui il pool di Milano sarebbe diventato il braccio armato. Si tratta soprattutto di fare luce su una fondamentale questione democratica di cui la teoria della «supplenza» enunciata da Borrelli rappresentò la vetta critica, mettendo in dubbio il principio della separazione dei poteri e determinando un lungo periodo di fibrillazione istituzionale.

Che ci siano stati eccessi nell'uso della carcerazione preventiva lo hanno ammesso, dopo molti anni, anche alcuni ex pm protagonisti delle inchieste, e non si può dimenticare, ad esempio, che il cosiddetto Parlamento degli inquisiti, sciolto nell'ignominia da Scalfaro nel '94, uscì poi quasi completamente prosciolto alla prova dei processi, ma con decine di carriere politiche distrutte, e l'Italia sta ancora pagando il costo altissimo della decapitazione di un'intera classe dirigente per via giudiziaria. È probabile che Tangentopoli non sia stato uno strisciante golpe di velluto, e che lo scoperchiamento di un sistema politico basato sul finanziamento illecito abbia solo preso la mano agli angeli vendicatori di Mani Pulite, senza che ci fosse dietro una regia politica o addirittura eversiva. Ma è giusto e legittimo fugare ogni dubbio sul perché, come accadde in Germania, da noi fu impossibile dare una soluzione politica alla deriva tangentizia.

Quando Craxi nel '93 pronunciò alla Camera il discorso sul finanziamento illegale a tutti i partiti, opposizione comunista compresa, dicendo che la deriva giustizialista che si stava profilando avrebbe aperto una pagina pericolosa e oscura nella storia del nostro Paese - una profezia che si è purtroppo avverata - il Pds tacque (Occhetto, D'Alema e Veltroni quel giorno somigliavano a tre dirigenti del Soviet supremo, impassibili e vitrei). «La storia si incaricherà di dichiararli spergiuri» - avrebbe sentenziato il leader socialista. Che in una dichiarazione del 30 luglio 1996 - il cui testo si trova negli archivi parlamentari - propose per primo una commissione d'inchiesta: «La questione del finanziamento illegale della politica - scrisse - è una questione democratica essenziale e deve essere perciò chiarita sino in fondo. In questo senso infatti al mosaico attuale mancano molti, ma molti tasselli.

Pensare che il capitolo possa essere sepolto sotto una pietra tombale sopra la quale giganteggia la scritta Due pesi e due misure è un grande errore, come il prosieguo della storia dimostrerà. Esso può essere commesso o per malafede o per ingenuità o per tutte e due le cose insieme». Parole che restano attualissime, e che dovrebbero suonare da monito a chi oggi, per ingenuità o per malafede, propone di consegnare precocemente alla storia la genesi della furia giacobina che ha avvelenato la vita pubblica seminando più macerie che giustizia.

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