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Lavoro, il ritorno del voucher e del buonsenso

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Riccardo Mazzoni
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Dal primo gennaio tornano i voucher, che servono a pagare su base oraria le prestazioni occasionali, e viene alzato da 5mila a 10mila euro l’importo annuale dei compensi in dote agli utilizzatori - imprese e famiglie - correggendo i rigidi paletti imposti dal decreto dignità. I voucher erano stati introdotti nel 2003 con la legge Biagi come forma di pagamento alternativa in caso di lavoro occasionale accessorio, o di prestazioni saltuarie, e cancellati dal governo Gentiloni nel 2017. Nella nuova versione saranno previsti controlli molto più rigidi per evitare l’utilizzo indiscriminato dei buoni lavoro (dal 2008 al 2017 ne furono venduti complessivamente 433 milioni) ed evitare le altre storture che ne avevano caratterizzato l’impiego: resta infatti inalterato il sistema telematico Inps di monitoraggio.

Il governo Meloni reintroduce dunque uno strumento utile soprattutto nei settori cruciali di agricoltura e turismo. Durante la pandemia le organizzazioni agricole ne avevano inutilmente chiesto la reintroduzione almeno temporanea, nel periodo della raccolta della frutta e della manutenzione dei vigneti, con gli stagionali stranieri bloccati dai lockdown e un picco di richieste che superava le 200mila unità. Stesso discorso per hotel, ristorazione e bar nelle stagioni estive, quando il Covid concedeva una tregua e la carenza di personale costringeva gli operatori a limitare l’offerta. Non a caso Federagricoltura e Federturismo hanno accolto con estremo favore le semplificazioni previste nella manovra, anche se i sindacati sono già in trincea perché temono un abbassamento delle tutele per i lavoratori.

La decisione di rimettere in pista i voucher è dunque destinata a riaprire il dibattito su una questione che cinque anni fa suscitò in Parlamento un dibattito molto aspro quando il governo Gentiloni, anziché correggere gli eccessi e gli abusi, decise di privare migliaia di piccole aziende e di famiglie della possibilità di ricorrere a uno strumento flessibile che, se usato correttamente, semplifica ed amplia le dinamiche del lavoro. Nessuno negò l’esistenza di alcune criticità: è indubbio infatti che l’utilizzo eccessivo aveva generato una serie di abusi, facendo letteralmente esplodere il numero dei buoni, utilizzati anche per integrare surrettiziamente i contratti di lavoro part-time o stagionali con i voucher e risparmiare così sul pagamento dei contributi. Ma logica e buonsenso avrebbero dovuto suggerire la correzione delle anomalie, non la cancellazione di uno strumento che aveva comunque dimostrato di funzionare.
La scelta ideologica di allora fu dettata dalla spada di Damocle del referendum abrogativo promosso dalla Cgil, e alla strada faticosa e complessa la sinistra preferì – come sempre - quella assai più semplice del colpo di spugna: il referendum fu evitato, ma con l’abolizione dei voucher si aprì un vuoto operativo e normativo che ora il governo Meloni ha deciso di colmare venendo incontro a un’esigenza molto sentita dalle famiglie e dalle imprese che hanno usato i voucher in modo tracciato e corretto. Recuperando così lo spirito originario della riforma Biagi, incentrata sulla flessibilità e sull’obiettivo di far emergere il sommerso, che ebbe un impatto altamente positivo per far emergere il lavoro sommerso.

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