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Su Russia e Reddito il Pd di Letta sconfessa se stesso

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Riccardo Mazzoni
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Il Pd, in attesa che arrivi Godot, ossia il mitologico congresso che tutto cambierà perché nulla cambi, è un vascello fantasma che naviga tra Scilla e Cariddi (alias Conte e Calenda) senza né timoniere né bussola politica, per cui non sorprende il rosario di contraddizioni snocciolato nelle ultime settimane.

Si era presentato alle elezioni come il partito di Draghi e l'unico garante della linea atlantista sulla guerra in Ucraina, ma alla prima occasione cruciale si è squagliato come neve al sole: al voto del Parlamento europeo sulla risoluzione che ha dichiarato la Russia «Stato sponsor del terrorismo» il Pd è stato infatti l'unico partito a dividersi tra favorevoli, contrari e astenuti, un autentico capolavoro cerchiobottista che ha mostrato all'Europa- mentre il centrodestra italiano si è espresso compatto per il sì - un ritorno all'inaffidabilità internazionale che è stato per lungo tempo una prerogativa della sinistra postcomunista. Le contorsioni congressuali, con la spinta sempre più forte a recuperare il terreno movimentista sottratto dai Cinque Stelle, si sono insomma riversate anche sul palcoscenico europeo, e paradossalmente la linea di Draghi in politica estera è stata sconfessata proprio da chi fino a settembre l'aveva sostenuta con più convinzione. Ma nella sua corsa verso l'ignoto il Pd è incappato in un'altra palese contraddizione, cercando di appropriarsi della misura bandiera grillina - il reddito di cittadinanza - annunciando una protesta di piazza il 17 dicembre nel tentativo di bruciare la concorrenza di Conte, che aveva minacciato la guerra civile in caso di ridimensionamento del sussidio. Reduce dalla bruciante contestazione ricevuta alla manifestazione pacifista contro l'invio di armi in Ucraina, Letta ha dunque deciso di mettersi in proprio, senza tener conto che la riforma del reddito varata dal governo va nella direzione in gran parte auspicata dallo stesso Pd, che nel suo programma elettorale parlava esplicitamente della necessità di «ricalibrare» il reddito di cittadinanza per le sue palesi distorsioni, per le iniquità nei confronti delle famiglie numerose e per il fallimento della parte relativa alle politiche attive per il lavoro.

Una considerazione, questa, più volte ribadita dallo stesso Draghi, che pur dicendosi favorevole a una misura «importante per ridurre la povertà», ha sempre sottolineato la necessità di migliorarla non solo per favorire chi ha più bisogno, ma soprattutto per ridurne gli effetti negativi sul mercato del lavoro. Oggi a un percettore del reddito di cittadinanza lavorare infatti non conviene, come rilevato anche dalla relazione del Comitato scientifico a cui il Pd dice di ispirare le sue proposte. Dunque Letta sta ripetendo in modo pavloviano l'errore commesso partecipando alla manifestazione arcobaleno sponsorizzata da Conte, lanciandosi in un'altra operazione incomprensibile, tenendo conto che quando la maggioranza gialloverde approvò in Parlamento il reddito di cittadinanza il Pd votò contro senza alcuna eccezione. Basta scorrere gli atti parlamentari, e in particolare la dichiarazione di voto al Senato, per constatare quanto fu netta allora la contrarietà del Nazareno al sussidio grillino: «Amici dei Cinque Stelle, vi diciamo no perché siamo totalmente diversi da voi nella visione del lavoro. Se c'è la povertà, non la si combatte creando un sussidio, trovando 6.000 navigator ai quali affidare l'incarico di offrire tre proposte di lavoro a chi non ce l'ha... Il punto centrale è che voi utilizzate una cultura della paura sul futuro... ma non potete immaginare che il futuro della Repubblica democratica fondata sul lavoro sia un sussidio, sia l'assistenzialismo, sia un messaggio diseducativo ai nostri giovani. È la direzione di marcia che è sbagliata». A fare questa dichiarazione di voto per il Partito Democratico fu il senatore Renzi, che è rimasto sempre coerente con questa posizione. Letta invece ora scende addirittura in piazza per difenderlo: contrordine compagni.

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