il commento
La solita ipocrisia della Sinistra sulle riforme: il bluff della deriva autocratica
L’apertura del premier Meloni alle opposizioni sulle riforme non poteva essere più netta, in coerenza con la convinzione, più volte esplicitata in campagna elettorale, che sui cambiamenti istituzionali è auspicabile la massima convergenza possibile. «Vogliamo partire dall’ipotesi di semipresidenzialismo alla francese, che in passato aveva ottenuto un ampio gradimento anche da parte del centrosinistra – ha infatti detto - ma rimaniamo aperti anche ad altre soluzioni». Chiaro il riferimento al premierato forte, che il Terzo Polo di Calenda e Renzi ha inserito nel suo programma, una soluzione che rafforzerebbe la governabilità non toccando il ruolo di garanzia del Capo dello Stato. Il sottinteso è che serve un confronto politico sul nodo irrisolto su cui si dibatte da decenni, ovvero il passaggio «da una democrazia interloquente a una democrazia decidente». Che poi il dibattito si svolga con l’iter parlamentare «ordinario» previsto dall’articolo 138 o con l’istituzione di un’apposita Bicamerale, è una questione che andrà affrontata a seconda della disponibilità delle minoranze di contribuirvi in modo fattivo. Conte ha già detto no, da improbabile paladino del parlamentarismo, dimenticando che il MoVimento lo voleva di fatto archiviare con la democrazia diretta, e Letta ha fatto altrettanto, prefigurando un’opposizione durissima che non prevede forme costruttive di dialogo col centrodestra, accusato pregiudizialmente di tendere a una deriva autocratica.
Per spazzare via contraddizioni e ipocrisie va premesso che il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo è un’esigenza presente già nell’Assemblea Costituente, che approvò l’ordine del giorno Perassi per un sistema parlamentare in grado di tutelare la stabilità dell’azione di governo ed evitare «le degenerazioni del parlamentarismo». Dispositivi poi mai adottati, ma quell’ordine del giorno aveva previsto con lungimiranza lo squilibrio nel rapporto tra Parlamento e governo, che avrebbe causato crisi politiche frequenti, esecutivi fragili e una complessiva instabilità del sistema. E a proposito di contraddizioni e ipocrisie, va ricordato che sulle riforme istituzionali la sinistra ha compiuto mille giravolte: appena nato il Pd, ad esempio, ci fu un’apertura al modello francese, sia come legge elettorale maggioritaria a doppio turno, sia come approdo al presidenzialismo. E ancora prima, ai tempi della Bicamerale D’Alema, il Pds si divise tra premierato forte e semipresidenzialismo, scelta che poi prevalse nel testo che la commissione licenziò il 30 giugno 1997. Ma nessuno parlò di democrazia a rischio con quelle riforme. Nelle ultime legislature, del resto, sono state innumerevoli le proposte di legge presentate da entrambi i poli e tese a rafforzare i poteri dell’esecutivo. Basti ricordare la bozza Violante, che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto e un premier col potere di nominare e revocare i ministri e con la fiducia che sarebbe stata concessa solo a lui e non più collegiale.
Una variante percorribile, per i gelosi custodi della Costituzione, potrebbe essere l’elezione parlamentare del capo del governo accompagnata dall’introduzione della sfiducia costruttiva, un sistema che Manzella suggerisce di copiare dalla Germania: con questa sorta di «presidenzialismo parlamentare» avremmo un cancelliere italiano forte di un’autonoma legittimazione da far valere sia nei confronti della coalizione che dello stesso Capo dello Stato. È ancora presto per dire se il Pd dopo il congresso confermerà la linea lettiana di chiusura preventiva alle aperture del premier sulle riforme: farebbe un danno soprattutto a sé stesso, perché la maggioranza procederà comunque, sulla scorta dell’ampio mandato elettorale ricevuto. La speranza è che gli ex renziani superstiti si facciano sentire, non lasciando solo al Terzo Polo il ruolo di interlocutore del centrodestra.
C’è a questo proposito il Manifesto riformista presentato nel 2019 dalla corrente di Lotti che potrebbe aprire uno spiraglio: «È utopistico pensare - c’era scritto - di poter cambiare le politiche senza cambiare le istituzioni che le producono. Il nostro orizzonte deve essere quello di una democrazia trasparente, decidente e maggioritaria, con istituzioni liberate dalle magagne del bicameralismo paritario e con regole di voto imperniate sulla coerente traduzione a livello centrale del modello che negli enti locali assicura governabilità e alternanza». Il sindaco d’Italia, insomma. Ma l’importante è raggiungere gli obiettivi della piena governabilità e della stabilità del sistema.