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Meloni premier, la grande occasione del centrodestra

Riccardo Mazzoni
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Senza esagerare con i toni enfatici, queste sono giornate storiche per l’Italia, non solo perché per la prima volta una donna ha ricevuto l’incarico di formare un governo - e lo guiderà - ma anche perché la nuova premier proviene da una destra a lungo ostracizzata dal mainstream che l’ha sempre considerata figlia di un dio minore, imputandole di non aver mai fatto veramente i conti col passato postfascista. Ammesso che ce ne fosse stato ancora bisogno, il lavacro elettorale del 25 settembre dovrebbe però aver spazzato via gli ultimi pregiudizi, portando a compimento un percorso avviato da Berlusconi nel ’94 con lo sdoganamento del Msi e poi da Fini con la svolta di Fiuggi. Ma dopo quasi 30 anni la sinistra, arroccata nei suoi fortilizi ideologici, ha impostato l’ennesima campagna elettorale incentrata sulla democrazia a rischio, anche se alla fine lo stesso Letta ha dovuto riconoscere, bontà sua, che Giorgia Meloni ha il diritto di governare. Ora, con una chiara maggioranza parlamentare e le opposizioni schierate in ordine sparso, gli oneri e gli onori sono dunque tutti sulle spalle del centrodestra, con la consapevolezza che ogni atto del nuovo governo verrà vagliato con la lente d’ingrandimento e che nessuno, in Italia e all’estero, sarà disposto a fare sconti. Una vera e propria prova del fuoco, insomma, per una coalizione che ha già governato il Paese in altre stagioni non semplici, ma che oggi si presenta radicalmente cambiata a causa del ribaltamento degli equilibri interni, con il suo storico fondatore e federatore retrocesso al ruolo di comprimario e non più di protagonista indiscusso. Gli eventi tumultuosi delle ultime settimane, poi, hanno determinato un altro inaspettato rovesciamento di posizioni sul versante cruciale dei rapporti internazionali, con la leader di FdI divenuta la prima garante della fedeltà atlantica a causa delle ambiguità di Lega e FI sulla Russia di Putin. Uno scenario che appena pochi mesi fa sarebbe stato implausibile.

Sarà questo, insieme alla crisi del gas, il dossier cruciale su cui il governo Meloni dovrà rassicurare gli alleati, e – attenzione – si tratta di due questioni strettamente collegate. Tanto per essere chiari, le sanzioni alla Russia non possono essere messe in discussione, perché le conseguenze se l’Italia rompesse l’alleanza occidentale sarebbero drammatiche per le nostre esportazioni, per lo spread, per la stessa credibilità del nostro Paese. Tanto più ci sarà continuità con la linea euroatlantica del governo uscente, tanto più avremo voce in capitolo per denunciare l’assurdità che nel fronte anti-Putin ci sia chi esce dalla crisi con le ossa rotte e chi invece ci straguadagna lucrando sui prezzi del gas, oltre che per dare una sveglia alla Commissione Ue sui colpevolissimi ritardi evidenziati con forza da Draghi nel suo ultimo vertice comunitario. L’euroscetticismo è stato un mantra identitario della destra, ma ora è tempo di eurorealismo, e Meloni ha dimostrato di aver appreso appieno la lezione. L’Ue è arrivata a una svolta, ma sarà un percorso accidentato, perché vanno modificati i Trattati con una Convenzione che sancisca la vocazione solidale dell’Europa e preveda che la solidarietà non può essere a intermittenza, dovendo valere per la pandemia come per la crisi energetica.

Il governo dunque non potrà essere né antieuropeista né populista, e convintamente atlantista, e non tentennare né sulle sanzioni alla Russia né sull’invio di armi all’Ucraina. Sul piano dei diritti non ci sarà alcuna deriva orbaniana e nessuna svolta sull’aborto, perché la 194 non va toccata, mentre sul Pnrr non ci saranno stravolgimenti, ma solo un adeguamento concordato con l’Europa. Sulla finanza pubblica prevarrà la linea pragmatica che la premier ha tenuto in campagna elettorale: niente scostamento di bilancio e neppure fughe in avanti sulla flat tax e sulle pensioni, ma solo una graduale attuazione del programma concordato. Abbassare le tasse è un dovere per un governo di ispirazione liberale, ma non finanziando tutto in deficit. Certo, fra i primi atti del governo ci sarà il nuovo decreto Aiuti per scongiurare il default di migliaia di imprese a causa del caro bollette, ma il sovranismo economico in mezzo a questa crisi epocale non è un’opzione sostenibile. Bisogna mettere prima di tutto in sicurezza il Paese, e quindi definire una scala di priorità per dimostrare non solo ai mercati e all’Europa che sta finanziando il Pnrr, ma prima di tutto agli italiani che il centrodestra è in grado di avviare la ricostruzione dopo la stagione dei bonus a pioggia. Per far ripartire l’Italia c’è una strada obbligata: grandi investimenti e riforme strutturali che ridisegnino istituzioni, fisco, sanità, istruzione, giustizia e pubblica amministrazione. Un compito immane, ma anche un’occasione storica che dovrebbe far calare subito il sipario sulle inaudite tensioni che hanno preceduto la nascita del governo. 
 

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