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Il reddito di cittadinanza va abolito per superare il parassitismo giovanile

Riccardo Mazzoni
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L'illuminante (e un po' inquietante) corrispondenza territoriale tra numero di beneficiari del reddito di cittadinanza e voti ai Cinque Stelle conferma la vera natura di un sussidio che ha svolto solo in parte la sua funzione sociale - più di metà delle famiglie in povertà assoluta non lo ha ricevuto - per trasformarsi soprattutto al Sud in un surrettizio strumento clientelare. Ma dall'analisi del voto è uscita una fotografia ancora più preoccupante: nella fascia di età tra i 18 e i 24 anni, infatti, un terzo dei ragazzi meridionali ha scelto il MoVimento, dandogli così la palma di primo partito. Una tendenza che svela quanto sia necessaria una profonda operazione politica e culturale per scuotere dal letargo una generazione che vede nell'assistenzialismo l'unico appiglio di sopravvivenza. È una pericolosa illusione, perché oltre il 70 per cento di chi ha ricevuto il sussidio da quando fu varato nel 2019, dopo più di tre anni ne è ancora beneficiario. Questo significa che il reddito di cittadinanza è una specie di grande parcheggio senza vie d'uscita, che non apre alcuna prospettiva se non quella di un confinamento a oltranza nel limbo della semipovertà e del lavoro nero, perché l'incrocio tra sussidio e politiche attive è stato un fallimento e ci vorrà una svolta radicale per far funzionare i centri per l'impiego. In Italia abbiamo tra i tassi più alti d'Europa di dispersione scolastica e Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro) oltre che pessime performance in lettura e in matematica rispetto agli standard internazionali. Secondo i dati Istat sono tre milioni i giovani non più inseriti in un percorso scolastico o formativo, e neppure impegnati in un'attività lavorativa, e dal 2008 c'è stata una crescita costante del tasso di emigrazione giovanile.

 

 

Non solo: nelle statistiche di Eurostat i Neet italiani sono il 25% delle corrispondenti classi di età, concentrati soprattutto al Sud. Dal 2014 è operativo il programma Garanzia Giovani, cofinanziato dall'Unione europea, ma non ha prodotto risultati: solo il 14% di questi giovani emarginati è stato infatti intercettato e registrato, e pochissimi hanno ricevuto offerte di lavoro o formazione. La risposta dello Stato a questo dramma sociale non può essere quella grillina, che prevede solo di sussidiare i disoccupati con il reddito di cittadinanza trasformando i giovani in un esercito di inoccupabili. Il Recovery Plan dovrebbe creare 90 mila posti per i giovani entro il 2023, ma la crisi energetica ha modificato in peggio lo scenario e altri interventi sono necessari subito per rilanciare l'occupazione giovanile. Il contrasto all'analfabetismo funzionale e alla dispersione scolastica deve essere una priorità per il nuovo governo, insieme alla necessaria correzione delle storture del reddito di cittadinanza.

 

 

Le crisi di questo ventennio, culminate con la pandemia e con gli effetti disastrosi della guerra hanno messo a nudo le criticità del nostro welfare nella tutela della salute, nella promozione dell'istruzione pubblica e nelle misure contro la disoccupazione, che sono state perfino peggiorate dalle controriforme demagogiche introdotte dal decreto Dignità. Ora serve davvero una svolta: Tridico, l'ispiratore del reddito di cittadinanza, ha ammesso che l'obiettivo non era quello di creare lavoro, sconfessando così la propaganda grillina, e dunque è davvero l'ora di cambiare, per non alimentare ulteriormente il parassitismo sociale che ha trovato una cruda conferma nel voto del Sud per i Cinque Stelle. La riconversione dei Neet non sarà un'impresa facile, ma la strada è una sola: premiare il merito, migliorare il circuito scuola-lavoro e concentrare i sostegni sulle vere povertà e su chi non può lavorare, non più su chi non vuole.

 

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