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Il profitto non può essere una colpa

Mario Benedetto
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Letto il responso delle urne, che non ha richiesto troppi sforzi d’interpretazione, c’è attesa per i prossimi passaggi istituzionali. Mentre l’Italia, i suoi cittadini, i suoi lavoratori, continuano la vita di tutti i giorni. È questo, in effetti, il vero tratto di continuità di ogni istantanea della vita (politica) di un Paese: quella quotidianità da cui bisogna partire, soprattutto nella fase di avvio di una nuova azione politica come quella del Governo che verrà.

Due sembrano i punti fondamentali proprio da cui partire, due «E» che rappresentano ambiti d’intervento di un’azione politica efficace e concreta: Economia, Esteri. Nonostante lo scenario globale e l’instabilità politica, «sanata» da elezioni che hanno chiaramente indicato nel centrodestra e nella Meloni il riferimento della guida di un nuovo esecutivo, la nostra economia tiene. E non solo. Stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale, potrà avere anche un ruolo di primo piano a livello europeo. Sta a noi, ora, valorizzare ogni nostra risorsa. L’impresa è regolarmente al centro del dibattito, che a volte segue, però, il sentiero di un ragionamento da percorrere, in realtà, in senso opposto: il profitto, per alcuni comparti, oggi si è fatto «extra». E talvolta ha portato con sé non riflessioni incentrate non tanto sullo sgravio di lacciuoli burocratici e costi, ma sull’entità del profitto quasi fosse, a tratti, una colpa. Intanto sarebbe interessante analizzare il concetto di profitto «extra» ma qui lanciamo un ragionamento socio–economico per passare la palla, o alzarla, in favore dei professionisti dei «numeri»: una riflessione su chi stabilisca puntualmente quale profitto è «extra» e in che misura esso lo sia.

 

 

 

Chiarito questo, chi, come certe aziende, trova benefici o non vede intaccato il business in una fase come l’attuale può tendere una mano e far tornare risorse in società. Attenzione, c’è però anche una questione di regole di cui tener conto. Casi come quello che ha visto protagonista Eni, che ha dovuto prima accantonare 500 milioni e poi ha visto salire questo conto, su precisazione delle Entrate, a 1,6 miliardi: 1,4 miliardi in Italia e oltre 200 milioni in Gran Bretagna. Al pari altre aziende come Enel, Terna, chiamate a contribuire in questi termini alla contingenza economica. Bene. Un contributo importante, giusto, rispetto al quale fare subito un’altra precisazione di principio: le imprese devono essere beneficiarie di misure che liberino risorse a loro favore, non sono realtà macchiate dalla colpa degli utili. Non ci stanchiamo di dirlo: i profitti sono sì utili, ma anche stipendi e investimenti. Per essere competitivi, in Europa e nel mondo. In Europa si sta, infatti, ma con una forza garantita anche dal nostro sistema economico, non solo da ideali da abbracciare virtualmente. Quella economica, insomma, non è una tribù che lavora per sé stessa, ma una comunità che lavora, indubbiamente si per sé stessa ma anche per tutti noi. Un contributo che garantisce in condizioni normali, con la sua regolare attività, ma all’occorrenza anche con contributi Extra, per restare in tema.

Altro caso interessante è quello di Esselunga, che non ha fatto extra profitti ma sta comunque lavorando a una serie di misure che vedono l'impegno complessivo di circa 10 milioni per tutelare i suoi clienti dall’aumento dei prezzi di energia e materie prima. Un bel gesto, in termini di principio e «cultura» dell’impegno sociale, ma anche in termini strettamente economici. L’impresa e il lavoro, nella cornice internazionale che risente dei tempi da «logoramento» della guerra, sono e resteranno due pilastri determinanti per peso e competizione, a livello nazionale ed europei. Ecco perché di essi bisogna valorizzare ogni singolo euro, orientando le misure in modo estremamente puntuale, come si chiede di fare all’impresa. Dunque sostegni a chi va sostenuto, incentivi e opportunità per chi rappresenta una forza produttiva, e non statica, importante: gli impegni dell’impresa e del lavoratore, come vediamo, non sono quelli di tribù in competizione, ma di protagonisti, «generatori di benessere», di cui è preziosa la convergenza d’intenti e di sforzi. Da sostenere insieme, per poterne raccogliere, sempre insieme, gli attesi frutti.
 

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