commento
Gli anti-occidente vecchi e nuovi sono tutti a sinistra
La coerenza in politica estera richiamata da Draghi nell’ultima conferenza stampa è oggettivamente un valore irrinunciabile mentre è in atto una sfida globale tra democrazie e autocrazie, e per un Paese come l’Italia da sempre schierato con l’Occidente l’ambiguità sarebbe un azzardo imperdonabile. Ma non è certo il centrodestra il potenziale ventre molle della politica estera italiana ed è paradossale che a sostenere questa tesi sia il Pd, che nel secondo governo Conte è stato partner silente delle acrobazie diplomatiche dei Cinque Stelle, quelle sì davvero pericolose per la nostra collocazione internazionale.
Basti pensare alle comunicazioni alla Camera in cui il premier grillino, nei giorni in cui tentava disperatamente di restare in sella con l’operazione Ciampolillo, teorizzò l’equidistanza tra Stati Uniti e Cina, «il cui innegabile rilievo sul piano globale ed economico – disse - va associato a rapporti coerenti, con un chiaro ancoraggio al nostro sistema di valori e di principi». Tanto che, subissato dalle proteste dell’opposizione, fu subito costretto a correggere il tiro in sede di replica senza però convincere nessuno. Del resto, la deriva filocinese del grillismo è stata rivendicata in più occasioni dal padre fondatore, che sul sacro blog arrivò a scagliarsi contro il G7 e i valori dell’Occidente difendendo invece il regime di Pechino con parole inequivocabili: per l’Elevato infatti uguaglianza e libertà di pensiero sono solo finzioni eterodirette dall’influenza del capitale privato sulla politica, per cui l’unica vera minaccia l’Occidente «ce l’ha in casa».
Senza dimenticare il percorso della Via della Seta intrapreso dall’avventurosa coppia di statisti Conte-Di Maio, con il ministro che firmò il memorandum chiamando il presidente cinese «mister Ping»: l’allora segretario di Stato americano Pompeo dovette intervenire accantonando ogni cautela diplomatica per mettere in guardia il governo dalle mire strategiche del regime cinese sull’Italia, che rischiava di consegnare alcuni asset strategici nazionali e della stessa Nato in mano cinese. Con la politica estera del Movimento, insomma, eravamo sul punto di diventare una colonia di Pechino nel Mediterraneo: isolati dall’Unione europea e muovendoci in aperto contrasto con gli Usa, avevamo siglato un patto scellerato con un gigante economico cresciuto infrangendo sistematicamente trattati e regole commerciali. La collaborazione nel campo della protezione ambientale con un Paese che ha il primato mondiale dell'esportazione di prodotti nocivi era una barzelletta, ma il rischio maggiore veniva dallo sviluppo di sinergie tra la Via della Seta e il sistema italiano di trasporti e infrastrutture, con la consegna di fatto alla Cina non solo dei nostri porti, ma anche di settori cruciali come energia e connettività digitale.
E sempre in tema di nuova guerra fredda, anche con l’altro grande rivale, ossia il regime di Mosca, non sono certo mancate sottovalutazioni e ambiguità di sistema, e non solo sul gas: c’è voluto l’inizio della guerra in Ucraina, infatti, per accorgerci che era meglio fare a meno della dipendenza dalla tecnologia russa, e solo a maggio è stata lanciata la Strategia nazionale di cybersicurezza. Nel frattempo però in questi anni sono state più di 2700 le pubbliche amministrazioni italiane – tra cui polizia, carabinieri e i ministeri dell’Interno, della Difesa e della Giustizia - che hanno sottoscritto contratti con Kaspersky Lab, il colosso di cybersecurity russo il cui fondatore è cresciuto alla scuola del Kgb e il cui apparato sfrutta tecnologie e infrastrutture russe. L’ordine di dismettere l’antivirus Kaspersky «per evitare che da strumento di protezione possa diventare strumento di attacco» è arrivato insomma dopo che le istituzioni italiane gli hanno messo per lungo tempo a disposizione i propri dati sensibili. Non è dunque il centrodestra, che ha votato compatto tutte le sanzioni alla Russia, un pericolo per la nostra collocazione internazionale: i nemici vecchi e nuovi dell’Occidente stanno dall’altra parte.