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Futuro dell'Italia, gestire l'immigrazione per far crescere la natalità

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Bruno Villois
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Il nostro tempo improvvisamente, da quasi tre anni a questa parte, è profondamente mutato. Prima una pandemia di durata biblica, poi la guerra in Europa e i drammatici effetti che ne sono seguiti, che hanno fatto anche esplodere i costi dell’energia, a cui è seguita una inflazione così intensa da non avere un precedente di pari gravita a cui si è associata una ramificazione della componentistica per elettronica. In questo difficile scenario si stanno aprendo ulteriori complessità che stanno piombando su di noi. Mi riferisco agli indici demografici in crollo e le difficoltà a porvi rimedio perchè in primis riguardano la sfera sociale dei singoli individui, pur incidendo in maniera sostanziale sul futuro socio economico del Paese. I tassi di natalità in Italia sono tra i più bassi d’Europa, passano da un massimo dell’8 per mille del Trentino, al 5,2 della Sardegna, con una mediana che si attesta intorno al 6,7 per mille, che è quello del Lazio. L’attuale tasso non può soddisfare alle attese del nostro futuro per il sistema socio-economico, tenuto conto dell’età media della vita che è superiore agli 82 anni e delle esigenze di far fronte agli oneri previdenziali, le cui pensioni, pur essendo tra le più basse dell’area di Eurolandia, impongono ricambi generazionali in grado di fornire versamenti previdenziali di significativa importanza.

Elevare le pensioni è sicuramente necessario, ma sarà insostenibile reggere anche solo gli attuali pagamenti già a partire dall’inizio del prossimo decennio. Sostenere una crescita della natalità è fondamentale per evitare uno squilibrio insostenibile per le pensioni, ma anche per le esigenze di forza lavoro per ogni tipo di posizione e mansione.In questo contesto si inserisce l’annosa problematica della immigrazione, un immigrazione che fin’ora è stata organizzata in maniera raffazzonata. La logica vorrebbe che, come è successo in Germania, ci fosse solo un’apertura contingentata in modo da poter essere inserita in un sistema demografico dinamico e in grado di far emergere le necessità del Paese, applicando anche norme rigorose per una corretta gestione dei rifugiati da guerra e povertà estreme. Ma è proprio il tema inserimento e le sue regole che deve essere perno del ricevimento e del suo contingentamento. Le categorie economiche, datoriali e sindacali dei lavoratori, dovrebbero rappresentare il punto centrale di come imbastire gli arrivi, avviarli ad una formazione che inizia con le conoscenze sia linguistiche che di apprendimento scolastico e dei vari livelli per accedere al lavoro. Ma le stesse categorie che rappresentano l’indispensabile ruolo di componente socio economica primaria dovrebbero anche essere coinvolte nella gestione dell’immigrato, fornendogli le condizioni per avviarsi al lavoro e per la residenza della famiglia. Casi specifici sono già presenti anche nel Lazio. Dagli e con gli immigrati accettati e inseriti nel contesto socio-economico si possono intensificare gli indici demografici di natalità. Trovare entro il prossimo anno un programma che passa dalla natalità e aggancia l’immigrazione, non sarà né semplice né facile, comporterà costi e responsabilità, ma se reso efficiente si tradurrà in una efficace azione di sostegno al futuro del nostro Paese. 
 

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