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Di politica si occupi solo chi è competente

Mario Benedetto
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L'arte ha ragioni che la politica non vuol sentire. O viceversa? Quello tra personaggi pubblici, dello spettacolo e cosiddetti «vip», con le scadenze elettorali è un rapporto singolare, ma indissolubile. Tutti coloro che si dichiarano distanti dal sistema, se non persino «contro», si fanno sentire in occasione degli appuntamenti più importanti in cui i cittadini sono chiamati ad accordare il loro consenso a questo o quel rappresentante.

Ecco puntuale la levata di scudi a favore di temi spesso superati dal comportamento stesso delle persone o dalle soluzioni trovate dalla legge, dalla politica stessa. Altrettanto frequentemente, va riconosciuto, ciò accade anche rispetto a questioni tutte da risolvere, dunque giustamente portate all’attenzione come tematiche rilevanti. Il problema è che questi proclami vengono condotti con frequenza «a favore di camera». Ovvero ci si straccia le vesti per avere un ruolo nel dibattito pubblico «impegnato», senza averne spesso titolo o ragione. Anche perché gli interventi degli artisti, e qui veniamo a un punto determinante, sono spesso divisivi, provocatori. Rischiando di alimentare la trivialità e la faziosità delle posizioni e del relativo dibattito, anche se animate dalle migliori e più pacifiche intenzioni. Verrebbe da dire anche giustamente, per la natura della fonte da cui provengono: del resto, è questo il contributo che l’arte, in senso lato, può offrire agli appassionati, a chi ne apprezza le sue opere ma anche, in generale, alla società tutta. Dunque, perché non fermarsi qui? Ognuno ha libertà di parola, ma non tutti possono contare su pubblici ampi e fedeli. Dunque si comprende la pulsione di chi, da una posizione «privilegiata», propone soluzioni anche su temi che esulano ampiamente dalle sue competenze.

Il pubblico risponde spesso entusiasticamente, sull’onda di una adesione convinta, a volte emotiva: l’identificazione con l’idolo è una ragione più che sufficiente per sostenerne le convinzioni. Starebbe alla responsabilità di chi parla, sapendo di avere grande seguito, cercare di non infiammare gli animi o fare proposte, come detto, a favore di camera che poco hanno di concreto o realizzabile. L’arte e la cultura hanno un ruolo determinante nello sviluppo sociale, è innegabile. Anzi, spesso sottovalutato sia in termini di potenziale economico, ma anche stimolo che possono offrire alle menti e alle coscienze. Anche semplicemente come svago, in un momento storico difficile come l’attuale. Detto ciò, dovremmo riflettere su questo: per quale ragione la notorietà può rappresentare «causa sufficiente» per proporre soluzioni politiche? Perché può essere causa sufficiente per essere chiamati a intervenire in un dibattito e in un contesto, come quello della politica, che ha sempre più bisogno di un requisito preciso come la «competenza»? Sarebbe bello avere risposte che possano convincere, anche del contrario, ma anche aiutino a comprendere quest’abitudine che ci vede sempre più spesso cercare ricette da tutti meno che dallo «chef» di turno, competente per materia. È una domanda che anche la politica deve porsi, magari senza cedere alla tentazione di chiedere risposta, se non un selfie, all’influencer di turno.
 

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