commento

Il centrodestra faccia un'operazione verità sugli squilibri del nostro sistema

Riccardo Mazzoni

Nella selva oscura di allarmi democratici che la sinistra sta seminando a piene mani per il Paese, quello più in voga è il timore che il centrodestra, con una vittoria a valanga, «sfregi la Costituzione» approvando il presidenzialismo. Ci sono poi altre disamine più dotte e sottili, che mettono comunque in guardia da una riforma che toglierebbe al Quirinale i poteri di garanzia, facendo l’esempio della nomina di cinque giudici costituzionali. Da qui l’allarme successivo: la maggioranza di un ipotetico governo Meloni potrebbe monopolizzare la Consulta e i membri laici del Csm. Ma c’è un pregiudizio evidente e quasi ontologico, in questi ragionamenti: sono trent’anni, infatti che la sinistra, pur essendo minoranza nel Paese, ha presidiato stabilmente il Colle e controllato, a cascata, sia la Corte Costituzionale che il Csm, ma nessuna obiezione si è mai levata da chi oggi prefigura invece l’emergenza istituzionale. E non sono sufficienti le rassicurazioni sulla volontà di dar vita a una Bicamerale per coinvolgere a pieno titolo le opposizioni, o di fare ricorso in ogni caso al referendum confermativo, trattandosi della modifica della forma di Stato e di governo. Nulla da fare: il centrodestra costituisce di per sé un pericolo per la nazione e la sua vittoria, quindi, è da considerare sempre una sciagura che va scongiurata con tutti i mezzi. Non a caso la sinistra scommette già sul fallimento precoce del governo che uscirà dalle urne, premurandosi di trasmettere questo messaggio destabilizzante anche alle cancellerie straniere.

 

 

 

 

È in questo clima avvelenato che dovrebbe nascere l’ennesima legislatura «costituente». Eppure è un passaggio obbligato, perché è un fatto che la Costituzione dopo tre quarti di secolo vada ammodernata, e che il presidenzialismo sia un possibile sbocco è scritto anche nelle conclusioni della bicamerale D’Alema. Quindi per il centrodestra è il momento di procedere senza più esitazioni, anche se ovviamente con i dovuti contrappesi, facendo prima di tutto un’operazione verità che sgombri il campo dall’ossessiva contronarrazione della sinistra. Dire, ad esempio, che la Corte Costituzionale, da Scalfaro in poi, è stata sempre squilibrata a sinistra è un attacco alle istituzioni o la semplice descrizione della realtà? Sostenere che la storia repubblicana, dal ’92 a oggi, ha portato all’elezione di presidenti della Repubblica tutti espressione di un solo schieramento, e che per lunghi anni non hanno rappresentato la maggioranza del popolo che vota è vilipendio del Capo dello Stato o, ancora, la sacrosanta verità? E, quanto alla sacralità del Colle, il Pci non si è forse più volte esercitato, dall’opposizione, a mettere sotto accusa i Capi dello Stato democristiani, fino a demonizzarli come accadde a Segni, a Leone e a Cossiga? Teorizzare che i poteri dell’esecutivo vanno rafforzati è un’eresia golpista o la presa d’atto che in Italia la durata media dei governi è inversamente proporzionale alla loro precarietà politica?

E infine: sostenere che un ordine dello Stato, quello giudiziario, da Tangentopoli in poi, ha pesantemente condizionato la vita dei governi, di destra e di sinistra, diventando il dominus della vita politica e degli equilibri istituzionali è un’esagerazione o una cruda verità definitivamente scoperchiata dallo scandalo Palamara? E quindi la riforma indicata dall’ex pm Nordio, che prevede la separazione delle carriere, è una provocazione eversiva oppure lo strumento per ricondurre finalmente la giustizia nell’alveo costituzionale del giudice terzo e della presunzione d’innocenza? Se la nuova maggioranza avrà dunque un forte mandato popolare sulla base del programma presentato, avrà il dovere di aprire la stagione delle riforme promesse. Anche se un costituzionalista, chissà in base a quali motivazioni, ha già scritto che il prossimo Parlamento sarà generato «con una legittimazione debole e parziale». Anzi, il motivo è chiaro: perché vincerà il centrodestra, e in questo caso, com’è arcinoto, la volontà popolare non conta.