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La Russia di Mikhail Gorbaciov all'opposto di Vladimir Putin

Mario Benedetto
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"Rus di Kiev" è il nome della tribù indicata da Putin come entità di comune discendenza del popolo russo e di quelli insediatisi nei territori ucraini al centro del conflitto odierno. Una storia di popoli e tribù che caratterizza questa porzione di mondo, una volta Unione Sovietica e oggi Russia. Mikhail Gorbaciov è stato uno dei grandi protagonisti non solo della vita politica di questo «impero», ma sicuramente il più emblematico rispetto alla sua evoluzione sociale e istituzionale. O meglio, di quell’evoluzione che la sua guida ha almeno tentato, con forza, di imprimere. Il suo è stato, infatti, un contributo enorme negli sforzi, ridimensionato dalle resistenze di un apparato e di una cultura che ci hanno riconsegnato, oggi, un Paese che si chiama Russia e non più Unione Sovietica, ma che di essa conserva tutte la caratteristiche principali.

Ne era fine conoscitore Viktor Zaslavsky, professore con cui ho avuto il piacere e l’opportunità di avere un rapporto diretto di discente, nelle cui parole si leggeva bene, e senza possibilità di fraintendimento, la natura granitica dell’assolutismo sovietico. Il messaggio di Putin alla famiglia di Gorbaciov è stato piuttosto glaciale. Non ci si poteva aspettare altro da chi ha costruito la sua ascesa proprio sulle macerie di colui che possiamo identificare come prosecutore dell’azione «civilizzante» di Gorbaciov, al di là di alcune frizioni personali. Parliamo di Boris Eltsin, spesso ricordato per i meriti di un’«occidentalizzazione» del suo Paese - anche qui, tentata - ma che, suo malgrado, ha anche la grande responsabilità della scoperta e del consolidamento di Vladimir Putin come leader politico. Fu lui a indicarlo come successore ideale alla Presidenza della Federazione Russa, che Putin guadagnò alle elezioni del marzo del 2000, con le conseguenze storiche che conosciamo fino ai giorni nostri. Dovrebbe essergli in qualche misura grato, diremmo.

E, invece, l’idea di Russia che proponeva Gorbaciov era diametralmente opposta alla cultura imperante nel Paese, di cui le persone sono intrise, a partire dal suo massimo rappresentante, Vladimir Putin. L’idea dell’impero, avversata da Gorbaciov, è esattamente quella che porta avanti lo zar, sino alle estreme conseguenze dell’ignobile e logorante conflitto in corso con l’Ucraina. La visione di un Paese moderno contro quella di un Paese trattato come tribù, di cui non sono valorizzate le diversità, anzi represse, ma invocate le comuni discendenze. E non per il consolidamento di quella pace alla quale Gorbaciov aveva materialmente lavorato, ma per il consolidamento di un fuhrerprinzip di Putin e della sua inamovibile presenza alla guida di un impero, letterale, piuttosto che di un Paese evoluto e libero.

I funerali di Stato negati a Gorbaciov, il silenzio delle tv russe sulla sua scomparsa, rappresentano la volontà di far scendere una brutta ombra non solo su un uomo, ma sui valori che rappresenta. Sulla base dei quali voleva offrire al suo Paese una possibilità di emancipazione, mai potuta cogliere appieno. La perestrojka e la glasnost sono le punte più note di un iceberg rappresentato dalla sua volontà politica, cui destinare un tributo anche solamente per il coraggio di averle proposte in quel contesto, in quel momento storico. La sua voleva essere una risposta politica in primis rispetto alla stagnazione economica in cui si trovava il Paese, al momento della sua elezione a Presidente. Era il 1985. Un solo anno dopo, a Reykjavík, siglò con Ronald Reagan un accordo sull’eliminazione delle armi nucleari a raggio intermedio installate in Europa. Anni densi di novità rispetto a diritti e conquiste oggi scontati, allora rivoluzionari. Anche perché, possiamo dire per la prima volta, si trattava di riforme, estensioni di diritti che non riguardavano elite e tribù di privilegiati, ma il popolo russo. Proprio questo è il senso della glasnost, volta a garantire libertà religiosa e d’espressione. Era il 1988. E ancora vigevano divieti, regole e costumi illiberali, oggi purtroppo nuovamente alla ribalta.

La scomparsa di Gorbaciov ci aiuta a ricordare quale fosse la strada da percorrere, che purtroppo ha lasciato spazio a quella da evitare, che invece ha portato a una nuova Russia dello zarismo. In un percorso di sviluppo non lineare, ma drammaticamente circolare, che fa tornare fantasmi di un passato difficile. Sino alla manifestazione tribale per eccellenza, rappresentata dalla guerra scatenata dalla nuova Russia, che altro non è, però, che la brutta copia di un antico impero autoritario. Se la storia si ripete, così come crediamo, una nuova svolta liberale può essere solo questione di tempo. Uomini come Gorbaciov sono quelli capaci di accelerare i tempi che portano i popoli alle libertà, legittime anche se negate. Sono quelli capaci di garantire che le rivoluzioni, di libertà e pace, possano realmente accadere.
 

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