Gli effetti sulla tecnologia di una crisi Cina-Taiwan. A rischio l'import dei microchip
Una canzone diceva «per fare un tavolo ci vuole il legno»: ecco, qui, per fare la transizione digitale, ci vuole il silicio, di cui il maggior produttore mondiale è la Cina che, grazie ad esso, ha invaso l'Europa di pannelli fotovoltaici. Il silicio, che altro non è che sabbia lavorata, permette a Taiwan di essere il leader mondiale nella produzione di semiconduttori e microchip.
I semiconduttori sono elementi essenziali nel campo dell'elettronica a base di silicio o germanio, sono indispensabili per la realizzazione di microprocessori, oltre a essere componenti essenziali nello sviluppo della transizione digitale.
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Ma quali potrebbero essere gli scenari e le conseguenze, in caso di conflitto tra Cina e Taiwan? E, soprattutto, ci riguarderanno? Taiwan è il più grande produttore di semiconduttori e microchip del mondo, detenendo una quota mondiale pari all'80%, oltre a essere centro d'interesse commerciale, dal cui stretto transita il 40% del mercato mondiale: quindici riguarderanno eccome! La Cina rivendica, dal 1949, l'isola di Taiwan come suo territorio ma, in realtà, l'isola si autogoverna da quella data e l'interesse cinese è soprattutto economico, in quanto l'occidente è dipendente dalle esportazioni di Taiwan su microchip e semiconduttori. Per scongiurare, in caso di guerra o, nel migliore dei casi, in caso di blocco navale dello stretto di Taiwan, una carenza di materiali utili alle nostre industrie occidentali, gli Stati Uniti, la scorsa settimana, con il Chip-Act, hanno stanziato la bellezza di 52 miliardi di dollari per finanziare le aziende produttrici di semiconduttori.
L'Europa, dal canto suo, nell'European Chips Act, ha stanziato altri 43 miliardi di euro, con l'obiettivo di rappresentare, entro il 2030, il 20% della produzione mondiale. Si prevede, infatti, chela domanda di semiconduttori quadruplicherà entro il 2030; accelerazione che, per i paesi Occidentali, è dovuta al fatto che i semiconduttori e i microchip sono e saranno fondamentali per la transizione digitale ed ecologica. In Italia, ancora, non si prendono in considerazione gli effetti economici di una possibile crisi di Taiwan e la maggior parte dei commentatori semplifica ritenendo la Pelosi causa della crisi e sottovalutando la pericolosità delle attività militari cinesi nello stretto. Mentre il pericolo serio e ipotizzabile è quello del blocco navale, situazione a fronte della quale le esportazioni di materiali e prodotti tecnologici potrebbe causare un'impennata dei prezzi nei settori legati all'automotive, agli elettrodomestici e, in generale, a tutti i prodotti tecnologici, con conseguenze economiche pericolose non solo per l'Italia, ma per l'intera Europa.
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Lo scenario, quindi, non è dei più semplici ma, anzi, ricorda quello della guerra in Ucraina: come la Russia rivendica, con la forza, i territori ucraini, qui la Cina ritiene Taiwan già di sua pertinenza, per motivi storici che risalgono al 1895. Ora, pertanto, dato che lo scenario mondiale ci vede sempre più interconnessi e dipendenti da ogni avvenimento che accade nel resto del mondo e dato che l'Europa ha, con coraggio, pianificato una transizione ecologica e digitale prima di ogni altro continente, sarebbe opportuno che essa si ponesse come attore diplomatico per dirimere le tensioni nello stretto di Taiwan, che, degenerando, potrebbero incidere sulla sua economia e sulle sue imprese. Le prossime elezioni italiane determineranno un nuovo governo, un nuovo ministro degli Esteri e un nuovo ministro delle Sviluppo economico: l'augurio è che questi ministeri possano essere rappresentati da persone che non solo sappiano incidere sulle decisioni europee ma, soprattutto, sappiano ricostruire una politica industriale, che ci renda, per quanto possibile, indipendenti e autosufficienti dalle oscillazioni commerciali mondiali.