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Il debito è buono solo se lo fa la sinistra

Paola Tommasi
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Giorgia Meloni premier, con il suo ministro dell'Economia, Tremonti o Panetta che sia, dovrà tenerlo bene in mente: la spesa pubblica in Italia va bene solo quando a farla è la sinistra. Nel tempo si sono trovati 10 miliardi all'anno per il reddito di cittadinanza o per gli 80 euro di Renzi e tutte le risorse necessarie per bonus di ogni tipo ma appena si azzarda una proposta di taglio delle tasse, che tra l'altro farebbe da volano ai consumi, agli investimenti, alle assunzioni e alla ripresa economica, improvvisamente non c'è più un euro in cassa. Certo, perché si sono spesi male prima. Ma come mai per le mance clientelari della sinistra un modo per trovare i fondi si trova sempre mentre per le proposte economiche del centrodestra diventa tutto più difficile, al limite dell'impossibile?

In ogni campagna elettorale, ai programmi della coalizione Fratelli d'Italia-Lega-Forza Italia si fanno le pulci mentre qualsiasi cosa, più o meno sensata e più o meno costosa, propongano Enrico Letta e compagni è oro colato, va benissimo ed è fattibile. Sul costo della Flat tax di Matteo Salvini e delle pensioni minime di Silvio Berlusconi circolano stime mirabolanti, fino a 80 miliardi per la prima e oltre 30 per la seconda, ma sono calcoli gonfiati dal pregiudizio di chi ha come obiettivo solo quello di rendere ridicole le proposte e i partiti che le portano avanti.

Eppure si tratta di idee che affrontano due problemi cruciali: la pressione fiscale troppo alta, che impoverisce le famiglie e rende meno competitive le imprese italiane rispetto a quelle estere, e le pensioni troppo basse per gli anziani, che spesso servono ad aiutare anche i giovani senza reddito in un Paese in cui il vero welfare è quello familiare.

A sinistra dovrebbero accoglierle con giubilo, trattandosi di fatto di misure sociali, invece è la solita levata di scudi. L'ultima riforma del fisco in Italia è la legge Visentini e risale ai primi anni '70. Da allora a oggi è passato mezzo secolo e tutto è cambiato, dall'avvento delle multinazionali alle delocalizzazioni, dall'ingresso nell'euro al Covid. Una revisione dell'intero sistema tributario sarebbe quanto mai necessaria. In ogni legislatura nascono e muoiono deleghe fiscali su cui si litiga in Parlamento ma che non trovano mai attuazione.

Perché, allora, se ci sono proposte nette, di carattere strutturale, le si boccia al sol pensiero? Perché mai non approfittare della sospensione dei vincoli europei per far partire una riforma che, se nei primi anni costa, poi compensa in quelli successivi con il maggior gettito prodotto quindi si finanzia da sola? Perché non concentrare sul taglio delle tasse tutte le risorse a disposizione piuttosto che disperderle in micro-misure che non portano cambiamento né risolvono i problemi? C'è tanta spesa pubblica cattiva, come la definì Mario Draghi, che può essere tagliata e destinata a usi produttivi. Basterebbe sfrondare del 10% quella attuale, che supera come spesa corrente 800 miliardi, per avere un gruzzolo da cui partire. O tagliare le agevolazioni fiscali che pure costano allo Stato oltre 150 miliardi all'anno. Per non parlare del recupero dell'evasione. Insomma, lo spazio economico c'è. La volontà politica è altrettanto forte, tale da superare le insidie della sinistra? 

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