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La lezione di Francesco Cossiga: cercare percorsi che siano realistici e coraggiosi

Mario Benedetto
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Ricordiamo Francesco Cossiga nel giorno dell'anniversario della sua nascita. Momento dal quale ha percorso una strada che lo ha portato dall'amata Sardegna, da Sassari a Roma, e nel mondo, raggiugendo traguardi come più giovane promessa sin dal diploma (conseguito a 16 anni) poi come accademico e infine politico: il più giovane a ricoprire incarichi istituzionali di primo piano sino al gradino più alto di Presidente della Repubblica. Più giovane della nostra storia. Proprio dalla nostra storia che vogliamo partire per ricordare, valorizzare e mantenere alto il suo valore e la sua dignità, grazie a una figura che ne ha scritto pagine dense, pesanti. Quel Francesco Cossiga che, oggi più che mai, è importante ricordare. E non per ragioni vaghe e generali: lo facciamo per una ragione precisa. Si chiama «Grande Riforma». Ho avuto la fortuna di scoprire l'esistenza di questo documento storico proprio ricevendolo dalle sue mani, giovane studente intento a scrivere una tesi su una storia e una figura come la sua, davanti alla quale la prima reazione era ammutolirsi. Nonostante in realtà i suoi fossero comportamenti giocosi, «amichevoli», semplice.

Primo segno, viene da dire con il famoso «senno di poi», di statura e grandezza, umana e politica. Il messaggio ci porta al 26 giugno del 1991. Cossiga, Presidente della Repubblica, posa la penna e invia alle Camere un messaggio destinato a rimanere nella storia. E non solo per il peso che aveva allora, ma per il valore che ha ancora oggi. L'allora primo ministro Giulio Andreotti era a capo di un governo che non è ricordato tra i più attivi della Repubblica. Uno dei problemi più seri era quello economico, con un deficit di bilancio che ammontava a più del dieci per cento del pil, con gravi ripercussioni soprattutto nel Sud del Paese. In questo contesto si inseriscono i propositi espressi dal capo dello Stato nel suo messaggio alle Camere. Uno dei più rilevanti è sicuramente quello di «salvare i partiti dagli effetti devastanti della partitocrazia». Nella prima parte del messaggio Cossiga sottolinea l'importanza dell'ammodernamento della Carta, ma è centrale il discorso sui processi sociali che accompagnarono il consolidamento istituzionale dell'Italia, permettendo al Paese di avviarsi negli anni Sessanta verso uno stato di «benessere»: riconoscimento dei diritti individuali, moltiplicazione dei canali di mobilità e avanzamento sociale, che ha sempre permesso la crescita dei soggetti intermedi tra individuo e Stato, indispensabili per il funzionamento delle democrazie.

Nelle mutate condizioni storiche del suo tempo, Cossiga leggeva il bisogno di riformare. A maggior ragione in un'epoca in cui l'avanzamento dell'integrazione europea, che a meno di un anno avrebbe portato alla firma del Trattato di Maastricht, sarebbe stato motivo di confronto con le altre democrazie occidentali. Nelle conclusioni del messaggio è racchiuso il senso che esso intende trasmettere: la necessità di riforme istituzionali viene visto dal Presidente non come esclusivamente politico, ma «civile, morale e sociale». La considerazione sottile, ma non secondaria, riguarda lo spirito riformista, che non va considerato come unilateralmente proveniente dalle istituzioni odi derivazione politica: la sua anima risiede nella società civile. Non è sufficiente un oculato programma dal punto di vista tecnico-politico, ma un ampio coinvolgimento di movimenti e gruppi perché il cambiamento non sia solo apparente, ma affondi le sue radici nella cultura e nelle abitudini diffuse. In poche parole: occorre uno spirito popolare di riforma. Perché si potesse parlare di una democratizzazione migliore e compiuta, comunque, i primi nodi istituzionali da sciogliere riguardavano: rafforzamento dell'esecutivo, un sistema governabile all'uscita dalle urne, piena riforma dell'ordinamento giudiziario. Fronti rispetto ai quali Cossiga tracciava linee, condivisibili o meno, ma potenzialmente risolutive, innegabilmente coraggiose. Ci dice nulla tutto ciò? Siamo fermi li, o forse tornati indietro. Possono piacere o trovare in disaccordo le questioni di merito, resta il fatto che Cossiga rispettava le Istituzioni, i suoi meccanismi, ma indicava percorsi. Realistici e coraggiosi.

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