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Elezioni politiche 2022, il centrosinistra cerca la formula magica

Riccardo Mazzoni
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Tutto l’universo politico fuori dal centrodestra è in movimento alla ricerca di una formula spendibile che abbia un minimo appeal elettorale, anche se il tempo stringe e le idee sono poche, perché la politica ha le sue leggi ed è difficile inventare qualcosa di nuovo in un solo mese, il tempo che resta per presentare le liste.

Calenda si sta distinguendo per attivismo e ha presentato un programma molto scarno con una condizione precisa ai potenziali alleati: la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi in caso di vittoria. Ovvio che il discorso sia stato rivolto prima di tutto al Pd, restringendo però il perimetro della coalizione a un polo europeista e democratico, con un’area liberal e una socialdemocratica. Il modello è dunque il lib-lab, non certo una novità che peraltro in Italia ha partorito solo esperimenti di piccolo cabotaggio. Ma è chiaro che il riferimento alla figura di Draghi, considerato un perfetto epigono del socialismo radicale di Federico Caffè e delle culture liberali moderne, è il tentativo di dare più credibilità a un manifesto elettorale che sarà difficile far digerire a Letta.

Tanto più che il mantra ricorrente dell’agenda Draghi senza Draghi rischia di ridursi a una categoria politica di risulta, e quindi del tutto sterile. La proposta di Calenda è comunque netta: non un listone unico e indistinto tra forse eterogenee, e patti chiari sulle cose da fare: chi dice no all’invio di armi all’Ucraina e chi non vuole i rigassificatori, ad esempio, va escluso perché non è accettabile un’offerta politica confusa, una babele programmatica più simile a quella di un’Unione prodiana 2.0 che a una coalizione ispirata al riformismo e all’atlantismo senza ambiguità in politica estera.

Il fatto è che Letta, dopo aver definito irreversibile la decisione di rinnegare il patto con i Cinque Stelle, non può permettersi di rinunciare ad altre sigle, perché con questa legge elettorale anche le liste che raccolgono percentuali sotto soglia possono risultare determinanti per vincere i collegi uninominali (lucrando sull’utilità marginale), e i loro consensi vengono riassegnati ai partiti maggiori della coalizione, nella fattispecie al Pd. La sinistra è sempre ricorsa a tutti i mezzi, leciti o meno, per vincere le elezioni, e ora che tutti i sondaggi parlano di una corazzata centrodestra nettamente favorita, Letta sa bene che non basteranno i suoi occhi di tigre per ribaltare la situazione, ma per avere qualche chance dovrà ricorrere ad ammucchiate e desistenze, a costo di ripresentare uno dei tanti cartelli elettorali sfociati sempre in fragorosi fallimenti politici. Così, almeno, si prefigura la resistibile armata a cui sta lavorando: da Speranza, Sinistra italiana e Verdi fino alla R rovesciata di Renzi, a Tabacci con Di Maio e a Mastella, con dentro il Brunetta dei riscoperti Liberi e Forti e magari anche al partitino di Toti.

Quando Calenda e Letta si parleranno, quindi, questo Risiko si presenterà in tutta la sua grottesca complessità: come faranno ad esempio Fratoianni e Bonelli, secondo i quali l’agenda Conte è meglio di quella di Draghi, ad accettare rigassificatori e termovalorizzatori, le cui aree per Calenda andranno addirittura militarizzate? E mentre la revisione del reddito di cittadinanza troverà resistenze a oltranza alla sinistra del Pd, come farà Brunetta ad approvare il salario minimo per legge dopo averlo bollato come «uno strumento che distrugge il mercato del lavoro»? Il Fronte repubblicano di Calenda, insomma, appare al momento molto diverso dal campo aperto di Letta, e se non si inventano un'alchimia tipo nuove convergenze parallele rischiano di trovarsi davanti a un’equazione impossibile. O all'ennesimo pateracchio inguardabile. 
 

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