il commento
Elezioni, il programma del centrodestra non dovrà essere il libro dei sogni
La giostra elettorale è partita e il nuovo giro si annuncia non troppo dissimile dal canovaccio degli ultimi trent' anni, secondo il quale gli esami per il centrodestra non finiscono mai, dovendo ogni volta sottoporsi a un esame del sangue che ne sveli il tasso effettivo di democrazia. È il perpetuarsi del paradigma antifascista riproposto sistematicamente dalla sinistra come scudo strumentale - e armadi delegittimazione - contro l'avversario elettorale di turno, dal Cavaliere al Capitano fino, oggi, alla pasionaria Giorgia, tutti bollati come neri epigoni del tempo che fu.
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Questa volta il metodo di lotta si è in qualche modo affinato, con l'evoluzione da cartello antifascista a fronte repubblicano contro i sovranismi, ma la sostanza non cambia, perché alla radice di questa mobilitazione preventiva resta il solito pregiudizio sull'inaffidabilità del centrodestra a guidare l'Italia. In realtà, la seconda Repubblica ha dimostrato che nessuno fra i due poli di questo bipolarismo mai veramente compiuto ha brillato per coesione e capacità di governo, ma che le cose migliori le ha fatte proprio il centrodestra, basti pensare alla legge Biagi, all'Alta Velocità e alla politica estera, non solo per Pratica di Mare, ma perla coerenza atlantica che è stata invece indebolita dall'ipoteca comunista sul governo dell'Unione.
Ora che il Pd è diventato il paladino dell'Occidente, su questo fronte non può proprio dare lezioni, anche se chi ancora non ha archiviato le ambiguità su Putin e sull'Europa ha il dovere di farlo subito, perché è già partito il bombardamento mediatico delle quinte colonne straniere della sinistra italiana. Ma più che i retaggi ideologici, questa volta conteranno le risposte che partiti e coalizioni sapranno dare alla più grande crisi dal secondo dopoguerra: non siamo infatti né nel 1994 né nel 2001, quando il centrodestra vinse le elezioni prima grazie alla discesa in campo di Berlusconi che lo inventò dal nulla, e poi con la promessa (parzialmente mantenuta) di alzare le pensioni minime a un milione al mese. Nel 2001 si votò quattro mesi prima dell'11 settembre, la data che avrebbe cambiato la storia di questo secolo segnando l'inizio di una catena di crisi globali mai più interrotta e culminata quest' anno con la guerra in Ucraina. Le urne del 25 settembre si apriranno in mezzo a una potenziale tempesta perfetta, col rischio di un'inflazione a due cifre e di un prezzo dell'energia fuori controllo che porterebbe alla chiusura di una percentuale spaventosa di imprese, con disastrose conseguenze sociali. Per questo servono programmi credibili, perché i margini di finanza pubblica saranno molto limitati e- perla prima volta nella storia della Repubblica - tra elezioni e legge di bilancio passeranno meno di tre mesi, per cui chi eccederà in libri dei sogni sarà costretto a smentirsi a stretto giro di posta.
Sarà utile, insomma, avere ben chiaro il quadro delle compatibilità economiche. C'è un vincolo esterno che, una volta scaduto il tempo dei cordoni larghi concesso per la pandemia, volenti o nolenti tornerà sempre più pressante: il Patto di stabilità per ora è sospeso, ma con l'aria che spira a Bruxelles e il ritorno in campo delle strategie frugali del Nord, il 2023 sarà sicuramente l'anno del ritorno. Ma già ora la Bce ci ha posto condizioni stringenti per tenere aperto il paracadute anti-spread, di cui avremo terribilmente bisogno: i requisiti previsti sono la valutazione della sostenibilità del debito, l'assenza di una procedura d'infrazione, l'avvio concreto di un percorso di riduzione di debito e deficit e il rispetto delle riforme del Pnrr. E insieme alla Banca Centrale saranno la Commissione europea, il Fondo Monetario e il Mes (sì, il Mes...) a dare semaforo verde sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Questo è il contesto in cui dovrà muoversi il nuovo governo, un sentiero tutto in salita tra emergenza sociale da arginare e vincoli da rispettare: se qualcuno pensa di andare al muro contro muro come accadde, con esiti disastrosi, ai tempi del governo gialloverde, non farà altro che dar credito alla profezia di chi già ora sostiene che il centrodestra vincerà le elezioni ma governerà per sei mesi. Non deve accadere.