il commento
Governo al bivio, il Paese non può permettersi a lungo le convulsioni M5s
Nella Prima Repubblica le crisi nascevano quasi sempre in base a un metodo empirico ma di sicuro effetto: la maggioranza votava la fiducia su un decreto importante e subito dopo, nel voto finale a scrutinio segreto, silurava il governo per una resa dei conti fra le correnti democristiane. Erano i tempi in cui la stabilità complessiva del sistema, con la conventio ad excludendum nei confronti del Pci, consentiva la formazione di esecutivi non longevi, a volte balneari, per garantire la continua composizione di conflitti ed interessi contrapposti senza compromettere la governabilità del Paese. Sembra un paradosso, ma la storia di quei quarant' anni racconta proprio questo, e ci ha lasciato un vocabolario memorabile di neologismi, dai «governicchi» ai «mandati esplorativi», fino alla «staffetta», ai «due forni» e alla «fiducia a termine».
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Mai, però, si era teorizzato quello che il capo politico dei Cinque Stelle, chissà se con l'avallo del suo capocomico, sta architettando sul decreto Aiuti, che non è un provvedimento qualsiasi, perché con i venti miliardi destinati a famiglie e imprese i requisiti di necessità e urgenza celi ha tutti. Stiamo infatti per assistere a una formula nuova di zecca: la fiducia a Camere alterne, perché il sì a Montecitorio potrebbe trasformarsi nel giro di pochi giorni o in un'astensione o in un'uscita dall'aula dei senatori grillini. Non si tratta di un tecnicismo parlamentare: a Palazzo Madama fiducia e voto finale non sono sdoppiati, il che non consente ai Cinque Stelle di ripetere la manfrina che andrà in scena oggi alla Camera, i cui lavori sono stati di fatto bloccati per giorni dall'ostruzionismo contro il governo (e contro il Paese) messo in atto da un partito di maggioranza che, in crisi di leadership, di identità e di consensi, col suo movimentismo distruttivo sta logorando il governo nel momento peggiore, perché l'Italia è alle prese con una incredibile congiunzione astrale di calamità: guerra, crisi energetica, inflazione e siccità.
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Ma per quanto ancora un intero Paese può restare appeso all'ombelico di Conte, alla sua sete di rivalsa su Draghi e al ripristino di parole d'ordine che hanno fatto la fortuna dei Cinque Stelle ma che ora suonano come moneta scaduta? Che senso ha pretendere lo stralcio della norma sul termovalorizzatore di Roma mentre la Capitale è sempre più sepolta dai rifiuti e brucia come ai tempi di Nerone, e negare ancora, contro tutte le evidenze, che è l'ora di mettere un freno alle storture del reddito di cittadinanza? O far finta che il Superbonus non abbia favorito una delle più grandi truffe allo Stato, con un buco di sei miliardi su cui nessuno ha vigilato?
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I nove punti «irrinunciabili» che Conte ha presentato a Draghi, e che la sinistra dipinge come l'antidoto all'autunno caldo sul fronte sociale, in realtà sono un mix tra misure che il governo ha già in agenda e altre chiaramente irrealizzabili, e quindi ascrivibili esclusivamente a uno spirito rivendicativo figlio della volontà di rottura ormai palese, per cui si disquisisce non sul «se» ma sul «quando» avverrà.
Di solito quando una forza politica esce dalla maggioranza lo fa perché ritiene esaurita la funzione di un governo e la strada maestra, soprattutto a un passo dalla fine della legislatura, sarebbe la richiesta di elezioni anticipate. Invece no: nonostante la temperatura della crisi sia considerata «abbastanza alta», un autorevole esponente del cerchio magico contiano ieri ha auspicato che il governo Draghi vada avanti «con noi all'opposizione».
Pare dunque questa l'ultima frontiera del grillismo cadente: avere le mani libere per picconare il governo dall'opposizione e sostituire alla pochette la montura dei guerriglieri. Poi magari l'Elevato imporrà in extremis a Conte di considerare agibili le aperture di Draghi e di derubricare a ennesimo penultimatum questa lunga sceneggiata. Ma il vero problema, a questo punto, è il costo sul sistema Paese delle convulsioni grilline, destinate - comunque andrà sul dl Aiuti - ad accrescersi in vista della manovra.
L'unità nazionale, se mai c'è stata, è uscita definitivamente dai radar: forse sarebbe l'ora di prenderne atto, invece di ipotizzare il prolungamento della legislatura fino a maggio.