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Con il nuovo partito Luigi Di Maio ha vinto il biglietto della lotteria

Gabriele Albertini
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«Se vieni eletto con il Movimento 5 Stelle e scopri di non essere più d'accordo con la sua linea, hai tutto il diritto di cambiare forza politica. Ma ti dimetti, torni a casa e ti fai rieleggere, combattendo le tue battaglie. Chi cambia casacca, tenendosi la poltrona, dimostra di tenere a cuore solo il proprio status, il proprio stipendio e la propria carica. Non so voi, ma a me piace l'art. 160 della Costituzione del Portogallo: «Perdono il mandato i Deputati che s'iscrivono a un partito diverso da quello per cui erano stati eletti» (Luigi Di Maio, 2017). «Non ci sarà più spazio per i populismi, i sovranismi, gli estremismi l'odio. Uno non vale uno», non male, per chi solidarizzava con le proteste violente dei gilets jaunes, mentre era vice premier e ministro dello sviluppo economico. Ed ancora: «I primi interlocutori saranno i nostri sindaci, che come ci ha ricordato Mattarella, sono il volto e le braccia della Repubblica italiana» e ne aveva proposto la messa in stato d'accusa!

 

 

Non vorrei sembrare blasfemo, ma la straordinaria, positiva accoglienza, in tutta modestia, anche la mia, per questa conversione di Di Maio, al «buon senso del buon padre di famiglia», dopo essere stato un convinto sostenitore dei «vaffa dell'elevato» mi ricorda un'altra citazione, davvero alta, nientemeno che dal Vangelo di Luca 15,11-32, quella del dialogo tra il fratello maggiore del «figliol prodigo» e «del padre misericordioso». Eccola: «...ora è tornato tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!». Che merito ha il «convertito» rispetto a chi non ha mai lasciato la tenda dell'equilibrio, della razionalità, del buon senso?

 

 

Azzardo una risposta: prima d'essere Capo del partito di maggioranza relativa, vice premier e due volte ministro, ora nientemeno del n. 1 dei ministri, quello «degli affari esteri», anziché aver dato prova, nella politica o nella società, di essere «qualcuno», che si era affermato, non era «nessuno»: come studente, tre iscrizioni universitarie e nessuna laurea e come lavoratore, coordinava dei venditori di bibite allo stadio S. Paolo... Un dignitoso ma modestissimo ruolo, nella gerarchia delle professioni, dei «migliori»... dei più meritevoli... La maggioranza di noi erano e sono come lui... Normalissimi, modesti cittadini... Che sognano, come lei è riuscito a fare, di vincere la lotteria... Buona fortuna ministro di Maio! Le auguriamo e ci auguriamo che i cittadini italiani siano con lei, come il «padre misericordioso» della parabola evangelica!».

 

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