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Banche popolari, l'economia reale è l'unico argine alla speculazione e al panico delle Borse

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Giuseppe De Lucia Lumeno*
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La fine dell’era dei tassi negativi ha prodotto un immediato e fragoroso shock finanziario. Se riuscirà anche a frenare la corsa dell’inflazione lo capiremo soltanto più in là. Intanto, la decisione della Banca Centrale Europea di invertire la politica monetaria degli ultimi anni ha prodotto un vero e proprio sconquasso che ha fatto parlare di «venerdì nero» per le banche con il crollo di Piazza Affari, lo spread tra i titoli decennali italiani e tedeschi arrivato a 236 punti con rendimento dei Btp sopra al 4% e con un timore sempre maggiore su crescita e conti pubblici. Gli annunci di Christine Lagarde pare abbiano generato più di qualche dubbio nel Ministro dell’Economia Franco e in aree vicine al Presidente del Consiglio Draghi. Se questo è il quadro con il quale si è aperta la settimana è molto condivisibile, oltre che ragionevole, l’invito del Presidente dell’Abi Antonio Patuelli a «mantenere sangue e cervello assai freddi e basarsi sugli elementi fondamentali dell’economia come gli andamenti delle produzioni industriali, la quantità di inflazione e diversi importanti indicatori, quali il costo dell’energia, dell’oro e gli andamenti dei mercati dei cambi».

Il momento è complesso. Le operazioni speculative delle borse sono prevalenti anche per una regolamentazione internazionale che consente «vendite allo scoperto» e operazioni di compravendita velocissime. Proprio per questo, l’invito di Patuelli di concentrare l’attenzione sulla produzione industriale e quindi sull’economia reale è prezioso. Le reazioni di questi giorni delle borse alle scelte della Bce ci mostrano infatti, ancora una volta, la necessità di un grande sforzo per riportare l'economia reale al centro della politica economica che da decenni si è incentrata essenzialmente su misure di finanza pubblica, di bilancio e di politica monetaria e che in Italia ha dimenticato quella che è sempre stata la maggiore ricchezza del nostro Paese e cioè l’economia reale a cominciare dalla manifattura. La regola secondo la quale la politica monetaria è importante ma da sola non basta a risolvere i problemi di crescita e di occupazione è oggi più che mai confermata. È incontestabile che si va verso un periodo di deglobalizzazione che vuol dire passaggio dalle delocalizzazioni a un mercato di rilocalizzazioni nel quale l’economia reale, le realtà locali e le comunità territoriali rappresenteranno le carte vincenti per il futuro. La sollecitazione di Patuelli a basarsi sugli «elementi fondamentali dell’economia» riattualizza indirettamente proprio il tema della potenzialità di questo patrimonio produttivo riconosciuto e invidiato in tutto il mondo. Un tessuto composto da una fitta rete di Piccole e medie imprese che hanno fatto del nostro Paese una delle maggiori potenze industriali. La risposta alla volatilità delle borse e ai fenomeni speculativi di questi giorni non può che basarsi proprio sull’economia reale fatta di crescita sostenibile, solidale e inclusiva. È giunto il momento di investire e rilanciare quella rete. Le Banche popolari e del territorio, diffuse capillarmente, integrate e decisive per la crescita dei propri territori (nel 2021, i flussi di nuovi finanziamenti delle Popolari alle Pmi hanno superato i 36 miliardi di euro e quelli per i mutui alle famiglie i 15 miliardi) sono pronte per una nuova stagione di politica economica e fanno proprio l’invito di Patuelli a non cadere nel panico ma continuano a lavorare per facilitare il finanziamento della produzione e del commercio in questo nuovo corso dell’economia mai come oggi necessario, auspicato e invocato.

*Segretario Generale, Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

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