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Dobbiamo farne di strada per dirci davvero democratici

Mario Benedetto
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Un fine settimana di appuntamenti e discorsi sui diritti che ci recapitano un messaggio chiaro: dobbiamo fare ancora strada sulla via della cultura democratica o quantomeno del suo consolidamento, al livello che la nostra civiltà merita. Quella Democrazia, con la “d” maiuscola, il cui nome arriva a noi dai fasti della storia e della lingua greca. Di questa, non c’è dubbio, abbiamo conservato riti e cerimonie, a partire dal fascino dell’ “agorà”.

Fiumi di parole, confronti e scontri che sono, si, già una buon esercizio di stile democratico. Ma, per una civiltà come la nostra, deve necessariamente esserci di più. Oltre le gambe, insomma, questa democrazia deve dimostrare di avere anche i numeri. Proprio quelli dell’affluenza alle urne che sono mancati, purtroppo senza neppure suscitare stupore. 

Torna così l’annosa questione della partecipazione alla vita democratica che, una volta chiamati ad abbracciare tramite lo strumento principe del “voto”, amaramente disertiamo. Compattati attorno a comportamenti e dis-valori come il disinteresse e la rassegnazione. È triste constatarlo, ma è questa la sostanza. Una qualche ragione possiamo trovarla nella perdita di fiducia nella capacità che noi cittadini abbiamo d’incidere proprio su quei meccanismi democratici tanto anelati. Come ancora una volta questo appuntamento referendario, ahinoi, ha confermato. Ma l’invito che attraversa e compatta tribù e Repubbliche, “andate al mare”, è ancora una volta il vincitore, amaro, di una nuova competizione democratica.

Ecco, forse questo è un ulteriore punto rispetto al quale dobbiamo invertire la rotta sia noi, sia chi ci rappresenta: il rapporto quasi dicotomico, da braccio di ferro, che si è creato tra cittadini e “sovrastrutture” istituzionali. È quel patto che sembra essersi rotto, come quello tra famiglia e formatori, tra altri aggregati sociali e tribù simili, che non permettono di compattarci attorno agli ideali positivi di cui una democrazia vive. Così la nostra appare azzoppata, per questa inversione di “cause” rispetto alle quali, invece di riunirci, ci separiamo.

È così che l’ultimo fine settimana ci consegna la nostra società, attraversata da appuntamenti democratici mancati e manifestazioni per i diritti civili, che da rappresentazione quasi folcloristica, per richiamare il concetto espresso in apertura, deve tornare a fondarsi su battaglie, obiettivi e questioni di sostanza. Soprattutto senza insistere sulla lotta per avamposti già conquistati. Questo il nocciolo: è vero che dobbiamo fare ancora strada sulla via della civiltà ma, pensiamoci bene, non per le questioni che ci portano spesso a gridare in piazza, quanto per quelle più spesso soffocate o su cui soprassediamo con discutibile leggerezza per andare al mare. 

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