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Guerra Russia-Ucraina, l'atteggiamento anti-Putin premia Pd e FdI

Riccardo Mazzoni
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La guerra in Ucraina ha riaperto in Italia vecchie ferite ideologiche mai del tutto rimarginate: paghiamo ancora il pegno di aver dovuto subire per decenni la presenza del maggior partito comunista d’Occidente, che attraverso l’egemonia di gramsciana memoria ha occupato casematte culturali, corpi sociali e apparati intermedi sopravvissuti al crollo del Muro di Berlino. Questo nonostante che la maggioranza degli elettori, salvo rare eccezioni, abbia sempre scelto coalizione che facevano perno – dalla Dc a Forza Italia - su partiti filoatlantici. Ma l’antiamericanismo e la suggestione di una funzione salvifica affidata dalla storia alla Grande Madre Russia sono due fattori ben radicati sotto la pelle della società mai venuti meno e pronti a riemergere in occasione dei grandi sconvolgimenti come gli attentati dell’11 settembre o, appunto, questa guerra esplosa nel cuore d’Europa, che ha riportato indietro le lancette del Vecchio Continente.

L’Italia non è mai stata un Paese normale, nel senso che nella prima Repubblica ha dovuto fare i conti col fattore K, e poi, al termine di una faticosa transizione chiamata seconda Repubblica basata sul bipolarismo, ha sperimentato – unica fra le grandi democrazie europee – il trionfo elettorale di un Movimento populista parzialmente ricondotto nell’alveo istituzionale sotto la spinta del principio di realtà. Decifrare i sentimenti profondi del popolo italiano è stato un compito tutto sommato semplice quando si fronteggiavano democrazia e comunismo, o nella successiva contrapposizione tra Berlusconi e le sinistre. Ma dopo la dissoluzione per via elettorale del bipolarismo, e soprattutto a causa di un inizio secolo punteggiato da crisi globali culminate in una disastrosa pandemia, diventa estremamente complesso sondare gli umori di un elettorato sempre più sfiduciato, che sceglie da tempo l’astensione come primo partito. La guerra in Ucraina, invece, dovrebbe essere una di quelle fratture epocali che semplifica il quadro: o con Kiev o con Mosca, con un inevitabile occhio agli interessi nazionali e ovviamente ai propri. Ma anche in questo caso, in Italia c’è qualcosa che non torna: da mesi, ad esempio, i talk-show ci propinano sondaggi secondo cui una larga maggioranza dell’opinione pubblica nazionale sarebbe contraria all’invio di armi all’Ucraina, e oltre la metà degli italiani ritiene che gli Stati Uniti stiano agendo solo nel loro interesse rischiando di danneggiare l'Europa e l'Italia. Una tendenza che risente dei cascami di una sinistra estrema che non riesce a staccare il cordone ombelicale da Mosca, nonostante la dittatura proletaria si sia trasformata in un’autocrazia di tutt’altra natura politica, ma anche dal disagio sociale di chi non è più disposto a fare sacrifici dopo dieci anni di rigore economico. Per cui prevale l’atteggiamento pilatesco certificato dai sondaggi. O almeno così pare, visto che gli stessi sondaggi fotografano la crescita sia di Pd che di Fratelli d’Italia, ossia i due partiti che nei rispettivi schieramenti stanno tenendo ferma la barra occidentale a fianco dell’Ucraina, premiando così il loro posizionamento atlantista contro il neoimperialismo di Putin, visto come un potenziale pericolo anche per l’Italia. Mentre le due forze più esplicitamente contrarie all’invio di armi all’Ucraina – Lega e Cinque Stelle – stanno toccando il livello minimo di consensi dall’inizio della legislatura. Un autentico paradosso, insomma, come l’altissimo gradimento di cui godrebbe ancora il pacifista Conte nonostante il declino irreversibile dei Cinque Stelle. Stando ai sondaggi, siamo uno strano Paese degli ossimori, che preferisce però la coerenza di una leader di opposizione leale alla linea del governo in politica estera, rispetto alle piroette di chi sta in maggioranza facendo ogni giorno distinguo.

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