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Feltri: "Quest'Italia non cambia mai"

Il direttore di Libero presenta a Roma il suo libro "L'Irriverente": "Ho trovato dei miei vecchi articoli, il Paese è ancora quello"

Pietro De Leo
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Il traffico romano è il solito revival d'Odissea, ma stavolta vale la pena. Perché c'è un ossimoro da vivere, innanzitutto. In quel compassato salone del circolo Canottieri Aniene di Roma arriva Vittorio Feltri a presentare il suo «L'Irriverente», libro uscito per Mondadori. E non è, si badi bene, un libro di memorie. Ma molto di più, è una specie di carta nautica, tracciata da un direttore che non ha mai smesso di essere un cronista, per navigare nella storia che vive. Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2, moderatore dell'incontro («orgogliosamente Feltri Boy», specifica ricordando i suoi anni in cabina di comando a Libero come vicedirettore), osserva che nel libro c'è «una carrellata di ‘900, con i personaggi che lo hanno segnato», e colloca poi Feltri in quel filone conservatore, mai domo al politicamente corretto ma anzi uso a smontare le convenzioni e giocare arditamente con il linguaggio, «che accomuna Prezzolini e Malaparte, Feltri e Missiroli». Fabrizio Roncone, giornalista del Corriere della Sera, racconta il Feltri cronista «sul campo». E spiega: «Oggi per vari motivi non si esce più dalle redazioni, un tempo si era lì, necessariamente. Vittorio quindi era lì. E seguì a Napoli tutta la drammatica vicenda del caso Tortora, scoprendo delle incongruenze fondamentali nelle carte processuali». Antonio Polito, che del quotidiano di via Solferino è editorialista, sottolinea che «dal libro c'è la profonda carica umana di Feltri, un aspetto fondamentale anche nel suo giornalismo». E per meglio illustrare il giornalismo feltriano, ecco un «caso di scuola» ricordato da Sangiuliano: «Anni fa, mi trovavo a seguire un convegno al ministero dei Trasporti» che condivide un piano con la direzione generale delle Ferrovie dello Stato. E dunque, ricorda Sangiuliano, per puro caso incappa nella toilette riservata all'allora direzione di Fs, AD era Mauro Moretti. «Trovai affisso un regolamento per la pulizia degli ambienti, norme ben precise, che prevedevano anche un ripasso durante la giornata. Io proposi un boxino, Feltri invece ci volle aprire il giornale, sottolineando la differenza con la sporcizia dei gabinetti dei treni più economici. Questo è il suo giornalismo». Non manca, nel corso della serata, qualche aneddoto da parte dei relatori. Tipo quando Feltri, avendo la responsabilità della prima pagina del Corriere della Sera, per canzonare l'allora direttore Alberto Cavallari che aveva visto camminare malfermo, cambiò la gerenza del quotidiano scrivendo al suo posto il nome «Johnnie Walker», come la marca del whisky. Avrebbe dovuto essere uno scherzo momentaneo, ma Feltri si dimenticò di correggere e lo fece soltanto pochi minuti prima che il giornale andasse in stampa, a rischio baraonda. Lui, il diretto interessato, ascolta questi racconti e ride, nella scansione di una vita professionale sempre condotta sul filo dell'ironia, aspetto mai cambiato. Come, racconta lui concludendo l'evento, a non essere cambiata è anche «l'Italia. Me ne sono accorto ritrovando dei vecchi articoli, che dimostrano come il Paese sia ancora quello lì. Alcuni li ho fatti ripubblicare su Libero, come quello su un'agenzia matrimoniale che trova ai clienti le mogli nelle Filippine. Queste cose esistono ancora, magari sono cambiate le formule». E dunque ecco che il racconto diventa un ponte tra il ‘900 e i tempi nostri, ma senza esondare nell'autobiografico. Quando parla di sé, Feltri lo fa con il sale del sorriso: «Una volta mi hanno chiesto cosa farei se trovassi mia moglie a letto con un altro. Ho risposto: le direi di cambiare le lenzuola». Al limite, l'unico slancio personalistico è quando confessa le sue devozioni: «Sangiovese, perché il buon vino non mi è mai dispiaciuto. E San Culo, perché senza quello non puoi neanche attraversare la strada». E, c'è da dire, compiere quei passi con leggerezza nella Storia, rimanendo in piedi.

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