si chiude un'era
Il maglione se ne va
Una notte di alcuni anni fa sognai Sergio Marchionne che girava nudo col maglione tra Napolitano, Montezemolo e il Papa e veniva fulminato dall'Altissimo Gianni Agnelli che gli rinfacciava non tanto la nudità di sotto quanto il maglione di sopra. Maledetto Mavchionne, hai messo il pullovev alla mia Fiat, hai vidotto l'Impevo ad una maglievia, vevgognati. E giù fulmini e saette. Per anni Marchionne fu per me un mistero, il maglione era la sua sindone, il suo saio, la sua tuta da fabbrica. Quando lo vedevo perfino in Quirinale col suo maglione che gli dava quell'aria di passante capitato lì per caso e per caso trascinato nei Palazzi più importanti, avevo un misto di tenerezza e di apprensione. Ma perché, poveretto, non si può permettere una giacca e una cravatta, mi dicevo, quale indigenza, quale allergia, quale complesso alberga in lui che gli è interdetto l'uso della giacca e della cravatta? Perché non può mostrare mai la sua camicia come se fosse sempre macchiata di olio motore? Perché ha scelto di sentirsi sempre a disagio, fuori posto, come un immigrato clandestino senza permesso di soggiorno...Ha fatto un voto, ha subito un trauma infantile, da bambino fu violentato da un pedofilo con la cravatta, ha avuto problemi con gli usurai detti appunto cravattari? C'era qualcosa di patologico, di esoterico o di maniacale che dovrebbe essere portato alla luce. Psicanalizzate Marchionne, mi dicevo. E lo dicevo io che non sono un fanatico del bel vestire, anzi sono un nemico giurato della cravatta, la uso quando è d'obbligo e non quando è d'uso, detesto i damerini, amo vestire casual che il mio Maestro, Checco Zalone, più efficacemente traduce in “veste a cazzo”. Marchionne veste con studiata impertinenza e con premeditata serialità, facendo della sua vistosa e volontaria inferiorità la sua calcolata superiorità. In mezzo ai corazzieri in alta uniforme vederlo così, in borghese, anzi peggio, da sala biliardi, faceva un'impressione quasi eversiva. Perfino Mussolini quando andava dal Capo dello Stato si toglieva la camicia nera da duce e saliva in frac, in marsina, insomma si vestiva da alto borghese. Marchionne no, resta così, da portiere della Juventus in tenuta d'allenamento. E dite dei grillini, dei leghisti, Di Maio che va sempre con l'abitino della prima comunione, che sono populisti: Marchionne è peggio di Peron, non è nemmeno descamisado con la giacca appesa al braccio, ma integralmente immaglionito. Quando il povero Bossi si faceva vedere in canottiera si scandalizzava mezzo mondo e si gridava alla sua cafoneria. Lo faceva Marchionne alle cerimonie ufficiali, e nulla da obiettare, anzi che figo. Non potendo competere con l'eleganza degli Agnelli o del mitico ferrarista Cordero di Montezemolo, Marchionne preferiva vestire da utilitaria con abitacolo girogola. Non so se voleva lanciare un messaggio subliminale agli operai, proiettando nel maglione la tuta del metalmeccanico, elevata a divisa aziendale, in segno di socializzazione e populismo operaio. Sono uno di voi, cari compagni, vesto come voi, sono rimasto col cuore a Togliattigrad, la fabbrica Fiat in Unione Sovietica. Chiamatemi Tovarich Serghei, Compagno Sergio. Oppure era una strategia di mercato per rassicurare la clientela e presentarsi come un capo officina pronto a garantire di persona la manutenzione dell'auto, a parcheggiarla nel garage, o a fare il tagliando. Non so se anche la sua lingerie è adeguata al ruolo, se usa mutande in euro4, munite di airbag in caso di erezione, scarponi con l'ABS per la frenata e polsini col servosterzo. Ma il suo maglione è uno status symbol, la finzione di passare per uno qualunque per risaltare al contrario il suo essere speciale, unico. Ricordo i suoi straordinari alterchi con Diego della Valle, la Scarpa contro la Ruota, il pedone contro l'automobilista. Dietro lo scontro global c'era il derby paesano tra un marchigiano e un abruzzese. Marchionne ha un modo di non parlare che mi fa morire, parla in codice a barre e a barriti, tra pause e parole mozzate, quasi autistico e frammentario. Autisticus contro Scarpantibus. Gli piace orseggiare. Sarà che è cresciuto in Canada, come l'orso Yogi, anche se lui somiglia più all'orsetto Bubu. Ma dietro l'orso bruno del parco di Yellowstone, si cela l'orso marsicano degli Abruzzi. Nell'evoluzione della specie la peluria si è fatta maglione. Vissuto tra gli States e la Svizzera, Sergio è nato addirittura a Chieti, tipica, genuina e ruspante provincia del profondo Abruzzo, e dunque resta fedele col suo maglione alla sua matrice rustica e casereccia. Marchionne è come il fondatore di un nuovo ordine, dopo i Padri Cappuccini ecco i Frati Pulloverini, una variante religiosa della banda della Magliona. Il maglione è stato il suo burqa identitario. Ora dovrebbero lanciare una linea di auto sportive con i sedili rivestiti di maglione, per celebrare il marchio e il marchionne. Scherzi a parte, Marchionne è stato un vero, grande manager, ha risanato e rilanciato l’azienda, anche se ha contribuito in modo determinante a sradicare la Fiat dall'Italia, dopo che aveva molto dato al Paese e moltissimo ricevuto, e trasferirla in domicili industriali e fiscali più comodi. Si avvicina il giorno in cui le magliette con la faccia di Che Guevara saranno sostituite dai maglioni con la faccia di Marchionne. In un paese di travestiti e voltagabbana, ecco finalmente uno che non cambia mai casacca. Ma vorrei ora ricordarlo nella sua ultima uscita pubblica, il 27 giugno, e non perché abbia presentato ai carabinieri una jeep FCA (quella sigla lievemente sessista) ma perché lui, il cinico, lo spietato, colui che aveva uno spinterogeno al posto del cuore, ha ricordato suo padre, maresciallo dei carabinieri. La tenerezza ti assale, insieme ai ricordi, quando senti che la vita ti sta voltando le spalle e fai bilanci non per i soci azionisti ma per la tua vita. E chiami tuo padre, e tua madre. C'è un'anima dentro quel maglione.